mercoledì 25 aprile 2012

La "Due Rocche"


Si parte, sono le 9.30 spaccate. Il clima è quello delle grandi corse. Tanta gente, stand di materiale tecnico, lunghi tavoli che serviranno per il ristoro finale e lo speaker urlante che intrattiene tutti con informazioni non sempre pertinenti .
Percepisco la partenza, ma di fronte a me nessuno si muove. Sono un po’ indietro, tra qualche secondo l’onda arriverà anche dalle mie parti e potrò finalmente mettermi in moto. La giornata è splendida, perfetta per correre e abbandonare ogni pensiero. Non  mi sento bene, ma spero, anzi credo, che una volta partito il motore si olierà e tornerà la solita leggerezza.
Finalmente, davanti a me, le persone iniziano ad avanzare. Faccio i primi passi attento a non inciampare e a non far incespicare. Pian piano il passo si fa più frequente e ampio, finalmente corro.
La strada punta verso il paese  con un impercettibile pendio che non aiuta le mie gambe legnose, anzi, più avanzo  e più si appesantiscono. Rallento anche per calmare il respiro che si sta facendo affannoso.
Corro senza nessun riferimento, ne cronometro, ne cardio-frequenzimetro, nemmeno cerco i riferimenti chilometrici che sicuramente stanno ai lati del percorso. La strada, dopo qualche minuto, sembra accentuare la salita. Faccio fatica. 
“Tra poco c’è la discesa”, mi racconto per non mollare.
Non mollo e la discesa quasi inaspettata arriva, breve, troppo breve . Dopo una curva che gira attorno a una casa compare il pendio, la salita.  Stavolta si sale davvero. Continuo a correre, il respiro è affannoso ma salgo con insospettata agilità. “Meglio del previsto”, penso mentre medito di proseguire a piedi, per non scoppiare ma soprattutto ascoltando il buon senso.
Non sono l’unico a camminare. Posso considerarmi nella media. Chi un po’ prima, chi un po’ dopo ma, molti di coloro che stanno nelle mie vicinanze continuano al passo. Il respiro intanto si normalizza. Le gambe invece faticano ad avanzare.
Il sentiero si inerpica tra la vegetazione, fitta da coprire il sole. La terra è umida, a tratti resa fradicia dalle piogge dei giorni scorsi. Ci vorrebbero le scarpe chiodate per salire ma soprattutto per quando, tra un po’, si dovrà scendere.
Chi ha sistemato i ristori lungo il percorso deve saperla lunga su chi corre. Compaiono quando servono. Non sono dei supermarket, i più hanno solo acqua, ma ce ne sono più del dovuto. Fermarsi è d’obbligo per me. Un bicchiere d’acqua rinfresca il cuore. Ripartire non è facile, ma dopo pochi metri si va che è un piacere.
La salita diventa ancora più ripida, scivolosa. Qualcuno si aggrappa per non andare a gambe all'aria. Nel tratto più duro si sale aiutati da scalini fatti di tronchi.
Giunti in cima, la scritta GPM annuncia che quello è il punto più alto del percorso. Dopo una curva ricompare per pochi attimi il sole. Prima di ritornare nel bosco, ecco il ristoro.
Inizio la discesa piano, bisogna recuperare, calmare il cuore. Poi appena scompare l’affanno , accelero, mi butto giù lungo il pendio concentrandomi sugli appoggi.  Mi lascio alle spalle molti concorrenti un po’ più cauti nello scendere.  Rallento a tratti, per riprendere fiato e per affrontare le zone più fangose e scivolose dove le scarpe affondano senza controllo.
Il pendio si fa un po’ meno ripido, si corre in falsopiano per lunghi tratti e le gambe tornano a protestare.
Finito il bosco il percorso attraversa prati dove, i molti che mi hanno preceduto, hanno calpestato ben bene l’erba. Il terreno è fradicio, quasi paludoso. Non riesco a evitare di affondare i piedi in pozze d’acqua nascoste dall’erba.
"Il più è fatto!", mormoro. Qualcuno, che ascolta, mi avverte che la salita non è ancora finita. Puntuale la rampa compare di li a poco ma riesco a superarla senza andare al passo. Mi affianco a qualcuno per scambiare qualche battuta, ma soprattutto per non mollare.
Da un po’ non compaiono segnalazioni chilometriche. Cerco il campanile del paese. So che dovrò arrivare da quelle parti. Non lo trovo ma, al suo posto compare inaspettato il cartello dell’ultimo chilometro.
“Spero l’abbiano misurato giusto “, commento a bassa voce, pensando che ogni passo fatto è un passo in meno da fare.
Ricompare la strada asfaltata e molte macchine in sosta. Ci siamo, l'arrivo è vicino. Dopo una curva intravvedo  l’arco azzurro da cui ero partito più di un’ora prima.
Aumento l'andatura per finire il prima possibile.
Prendo la corsia dei 12 km. Sul traguardo guardo il cronometro : 1.41.45. Una ragazza mi da un cartellino su cui c’è scritto la mia posizione : 665

lunedì 23 aprile 2012

L'esempio


Non molto tempo fa, ritornando con mio figlio piccolo, nei luoghi dove ho trascorso al mia infanzia e dove abita ancora mia madre,  avevo indicato, con un po’ di orgoglio e nostalgia, il campetto dove da piccolo ero solito giocare a calcio.
Lo spiazzo, un quadrato che forse non supera i 400 metri quadrati di superficie, è il piazzale di una piccola chiesetta di campagna, che sorge ai lati della strada che porta al paese, poco lontano da quella che era allora la mia casa. L’area non era recintata ed era abbastanza normale che il pallone e, spesso qualche azione, sconfinassero nella strada, dove i passaggi delle macchine erano abbastanza radi e controllabili.
Uno dei lati del campo invece, era delimitato dal muro laterale della chiesetta che svolgeva funzioni di giocatore aggiunto, contro il quale far rimbalzare il pallone.  Non sempre questo modo di giocare andava a buon fine.  In certi casi, quando il pallone volava alto, poteva capitare che andasse a incocciare con i vetri colorati della finestra della chiesa. I vetri rotti furono molti, come pure le riparazioni a cui dovemmo provvedere con i nostri risparmi.
In quel campetto, così angusto, si sono consumati o autentici duelli , uno contro uno con il terzo in porta o, partite talmente numerose che il pallone sembrava impazzito tra le gambe di una miriade di ragazzini che arrivavano fin dal paese o, passando di fronte, si fermavano a dare due calci al pallone.
Quel giorno avevo lasciato cadere il discorso, ma la descrizione deve aver colpito il bimbo con lo stesso stupore che prova  un leone,  cresciuto allo zoo, quando scopre che esiste la savana.
Ieri, tornando con lui a far visita alla nonna, arrivati in prossimità del campetto, mio figlio, forse sognando il campetto pieno di bambini, ha ripreso il discorso interrotto tempo addietro, chiedendo :
“Papà, la tua mamma ti lasciava venire a giocare a calcio qua ?”.
“No, non voleva, ma io dopo mangiato, scappavo di casa, saltando al rete”, risposi con una punta di orgoglio, senza troppo pensare a cosa stavo trasmettendo a mio figlio.
“E’ poi cosa faceva la nonna ?”, incalzò sempre più incuriosito il bambino. 
“Qualche volte mi chiamava a casa, altre volte mi aspettava a casa con un frustino in mano “, continuai il racconto.
“E ti dava le botte ?”, rilanciò lui. Doveva apparigli molto strana quella mia libertà conquistata con la fuga incurante delle raccomandazioni , senza la concessione di nessun permesso, tra l’altro, nemmeno mai chiesto.  I bambini di oggi, nemmeno si sognano di scappare di casa per giocare, anzi si trovano ad avere la giornata talmente programmata da mille impegni da uscirne, alla sera, sfiniti.
“Non sempre le prendevo”, conclusi, “ Io correvo più forte della nonna e riuscivo quasi sempre a rifugiarmi sotto il letto, dove lei non riusciva ad arrivare. Rimanevo li fino a quando le passava l’arrabbiatura e buttava il frustino”.
Solo in quel momento mi resi conto che quanto detto era del tutto in contrasto con l’educazione, tutta obbedienza e controllo che cerco di impartire a mio figlio.
Forse dovevo pensarci un po’. 
Di certo non mancheranno altre chiarimenti …. Prima della prima fuga da casa … 

giovedì 19 aprile 2012

Necessità


La signora, addetta al marketing per una nota azienda di software, mi aveva telefonato per presentarmi, alcune promozioni. Chiamava da Monaco di Baviera.
Era italiana e tradiva un leggero accento meridionale. Per alcuni minuti, parlammo d’altro.
Io le chiesi che tempo faceva a Monaco. Lei accetto di buon grado la mia divagazione, per nulla professionale e mi  disse che lassù era una bella giornata di sole anche se faceva un freddo inusuale per questo Aprile inoltrato. Continuò raccontando di quanto si sentisse italiana e di come da quel punto di osservazione vedeva  l’Italia.

Tradiva la nostalgia di chi vive lontano dal proprio paese e , quando le feci notare che anche da noi c’era lo stesso freddo che c’era su da lei, con molta sincerità mi confidò che preferiva il freddo del suo paese al freddo di Monaco.
Ciononostante era grata alla Germania che la ospitava e le dava modo di fare un lavoro giustamente remunerato, diversamente dall’Italia da cui se ne era dovuta andare.

Io, un po’ per convinzione e un po’ per compiacerla, ad un certo punto le dissi :

“Io ormai sono vecchio per certe cose, ho superato i cinquanta, ma mi pento di non aver avuto esperienze di lavoro all’estero o, quanto meno, penso di aver sbagliato a rimanere per decenni sempre nella stessa azienda”
Sapevo che in parte mentivo e che non mi erano mai passati per la mente simili pensieri. Solo ora, perse molte delle mie radici, sarei in grado di valutare simili opportunità.
Mentre cercavo di concludere meglio il mio pensiero, da sotto, la voce della donna catturò la mia attenzione.
“Mi scusi se l' ho interrotta,.... non si tratta di pensare, valutare….” , puntualizzò. 
Poi, dopo una breve pausa, proseguì, “ si tratta di necessità”.

Sottolineò quella parola con un tono particolare, quasi scandendo le sillabe. Percepii in tutto ciò una sorta di rimprovero, come se avesse smascherato quel mio parlare a vuoto.

Ritornata al tono gentile iniziale, continuò :"
"Sa, dalle nostre parti c’è un detto che dice : Il lupo esce dalla tana quando ha fame”,

Colto il significato, le risposi .
“ Anche da noi c’è un detto simile : Quando l’acqua arriva alla gola si impara  a nuotare”.

Continuammo la telefonata, parlando di software, di prezzi e opportunità commerciali.
Mentre la ascoltavo, mi risuonava nella testa quella parola : necessità.

A volte raccontiamo delle nostre scelte di vita, ponderate, lucidamente razionali........

martedì 17 aprile 2012

Dialogo


“Buongiorno, dovrei fissare un appuntamento per un elettrocardiogramma sotto sforzo”, esordii, appena mi avvicinai allo sportello dedicato alle prenotazioni per tutte le prestazioni di cardiologia.
Era la seconda volta che facevo la fila davanti a quello sportello, cosi avulso dai Centri di Prenotazione Unificati, quasi fosse a difesa di una cittadella.
Pochi giorni prima, ero stato rimandato a casa senza appello, come uno studente rimandato a settembre. La motivazione fu : documentazione scarsa. La ricetta medica non era sufficiente per la prenotazione, ci voleva la prescrizione del cardiologo.
Memore di tutto ciò, continuai :
“Si ricorda di me, signora, oggi ho tutta la documentazione “.
La signora, sgranando gli occhi mi rassicurò :
“Buongiorno, sono sicura di averla già vista, ma non ricordo il suo caso specifico”.

Incurante delle parole della signora, cosciente che non poteva ricordarsi di me, mi affrettai a passarle il plico con tutte le carte.

Avevo letto con attenzione la prescrizione del cardiologo e tra la calligrafia, che definirei incompleta, ero riuscito a malapena ad individuare un  tratto che somigliasse  a “sforzo”.

“Se c’è sforzo, tutto quello che c’è prima deve essere di sicuro ‘ prova da’”, dedussi senza trovare conforto nei segni.
Nel frattempo la signora tentava di leggere quanto prescritto e, percependone la stessa mia difficoltà la indirizzai verso la zona significativa. Rimase immobile a decifrare per qualche secondo poi, convinta, volse lo sguardo verso lo schermo.

Armeggiò, con tasti e mouse per diversi secondi,  poi individuate le informazioni utili mi disse :

“Il primo slot libero per l’esame è per il 20 febbraio, ore 12.15.  Le confermo la prenotazione ?”.

Appresi la notizia come un arciere che scopre di aver mancato il bersaglio. Mi stupì, non la lontananza della data, ma la precisione dell’orario e pensai :
“Nemmeno nei viaggi spaziali si ottiene una simile precisione nel prevedere eventi da qui a un anno !”.

Ma non era finita là, la donna continuò con disarmante sincerità :
“Questi sono gli slot disponibili ad oggi. Se vuole anticipare l’esame, può ripassare per vedere se nel frattempo si siano resi disponibili altri slot più vicini”
“Significa  che devo ogni volta rifare la coda ?”, chiesi incredulo, sperando di essere smentito.
La donna non rispose ma annuì con un cenno del capo quasi impercettibile.

“Si rende conto che tutto ciò somiglia quasi ad un’agonia?”, non trovai di meglio da dire tra l’arrabbiato e il divertito.
“Non so che dirle”,  tagliò corto colei che stava dietro il vetro.
“Senta, intanto mi fissi la data di Febbraio, anzi, ha mica anche un slot per il 2014 ?”, rilanciai con tono di sfida .
“Non ho slot cosi lontani”, mi rispose con un mezzo sorriso, nemmeno tanto divertito.

Raccolsi le carte della prenotazioni, pensando su quale agenda annotare l’appuntamento e allontanandomi, già pensavo a chi telefonare per eseguire l’esame in pochi giorni con la modica cifra di 130 euro.
Pagare così tanto per faticare, mi sembrò uno spreco e un’ingiustizia, soprattutto per coloro che non se lo possono permettere.
Ma il cuore va coccolato, controllato con la giusta assiduità. L’attenzione fa bene a tutto e a tutti. 
Per questa volta i soldi non saranno un problema. 

lunedì 16 aprile 2012

Riflessioni tra i ricordi


Quando correvo e mi allenavo con impegno e metodo, percorrevo più di 400 km al mese. Allenarsi con metodo significava seguire un programma di allenamento finalizzato a un obiettivo.
Il mio obiettivo era di correre la maratona sotto le tre ore e se possibile migliorarmi.
Quei metodi in quegli anni li chiamavo tabelle, per la modalità con cui erano rappresentati : cosa fare per ogni giorno della settimana per un ciclo di 4 settimane.
Ogni settimana prevedeva un giorno di riposo in cui non correvo o correvo poco ( massimo 7-8 km lentamente). Dopo un ciclo di carico di tre settimane la tabella prevedeva una settimana di scarico in cui tutte le attività dovevano essere svolte al 50 %.
Quest'ultima permetteva al fisico di recuperare energie e soprattutto riposare. Di solito alla fine del periodo di scarico si poteva inserire una gara, sfruttando lo stato di freschezza che il riposo aveva recuperato. 
La leggerezza  e la facilità di corsa ottenute dopo una settimana di scarico permettevano di ottenere i migliori risultati. La sensazione che vivevo durante quelle gare era molto vicina al volo radente: era un piacere correre.
In ogni caso non ero una macchina, ne per ciò che riguarda il fisico e nemmeno per quel che riguarda la mente.
C’erano giorni che mettere le scarpe da Running era più un dovere che un piacere. A spingermi a farlo erano le motivazioni e la voglia di non perdere colpi. Sapevo poi che avrei dovuto fare i conti  con una sorta di contraccolpo psicologico che somigliava molto al senso di colpa. 
Altre volte partito con la voglia di correre a ritmo sostenuto, mi ritrovavo ad andare piano come se fossi in sella  a un cavallo che non  voleva saperne di fare un passo.  In quei casi mi rendevo conto che il mio corpo non aveva del tutto recuperato gli allenamenti dei giorni precedenti e quindi, reclamava una pausa.
I segnali erano comunque chiari e siccome, per quanto spingessi, non riuscivo a correre veloce, mi rassegnavo a un allenamento tranquillo sia per il fisico che per la mente.  Questi contrattempi non intralciavano i miei programmi di allenamento che non potevano essere  sconvolti da un giorno di riposo in più.
Era comunque curiosa la dissociazione tra mente e corpo. Succedeva che, ciò che la mente aveva programmato non trovasse d’accordo  il fisico, ma non era raro che si verificasse l’esatto contrario.
Ascoltavo comunque le richieste sia del corpo che della mente, come se fossi il terzo incomodo tra due litiganti.  Mi dovevo adeguare e compresi ben presto che motivazioni e volontà niente potevano.
Qualcosa di simile succedeva  quando sbagliando il ritmo di gara, mi trovavo di colpo senza più energie. In quel caso mente e corpo si alleavano e non mi restava che continuare al passo o al minimo, al solo scopo di arrivare.

Niente avrebbe potuto incentivarmi a ripartire di buona lena.

Arrivavo stremato  e svuotato di ogni energia  e stavo immobile per interminabili minuti a recuperare un po’ di forza senza pensare a niente, ascoltando il respiro diventare meno affannoso e il cuore che pian piano rallentava.  
Compresi ben presto che i  tempi di recupero sono importanti e se non li prevediamo è il nostro corpo a reclamarli.
Forzare la mano è possibile. La volontà e le motivazioni possono permetterci di mandare il nostro fisico oltre il limite. Il nostro corpo, cuore muscoli e mente  qualche trasgressione ce la permette. 
Pensiamo a quanta pazienza ha il nostro fisico nei confronti delle nostre sbornie, delle abbuffate, del fumo e altro ancora e come la mente cerchi spesso di dissuaderci dalla collera e da azioni che mettono a repentaglio la nostra incolumità.
Saremmo in buone mani se non fossimo tirati per la giacca da sollecitazioni o richieste esterne che spesso consideriamo doveri dai quali non possiamo prescindere.
Il resto lo svolge la nostra ambizione il nostro orgoglio che ci rende sordi  alle necessità di una vita più a misura d’uomo.
La misura d’uomo esiste ?  L’uomo è un essere primordiale che arriva da molto lontano. E’ passato attraverso un’evoluzione lunga qualche milione di anni ed è dotato di una capacità di adattamento unica tra le specie presenti su questo pianeta. E’ inoltre l’unico esemplare  capace di  andare oltre, modificando l’ambiente che lo ospita secondo le proprie necessità,   elaborando modalità con cui controllare  la natura quando quest’ultima cerca di imporre le proprie regole. A volte ci riesce altre volte prende delle sonore lezioni di umiltà.
Mentre le altre specie sono costrette a sfidare le avversità della natura in una lotta continua per la sopravvivenza, l’uomo mette in discussione le proprie possibilità fisiche e psichiche obbedendo a regole da lui stesso create. La cultura impone spesso comportamenti a cui gli uomini, loro malgrado, devono sottostare.
Spesso, la durezza delle regole sociale,  vanno ben oltre la crudeltà imposta dalla lotta per la sopravvivenza.
La vita a “misura d’uomo” è un prodotto della cultura, che l’uomo stesso  modifica secondo le proprie necessità e le proprie ambizioni  e che niente ha a che vedere con l’ambiente che lo ospita,  permettendone la sopravvivenza.
Ne consegue che  per ambizione, orgoglio, amore o semplicemente necessità, a volte, richiediamo  al nostro corpo prestazioni al di sopra delle possibilità ed è questo, anche, uno dei motivi di tante morti inspiegabili.
Questo ho pensato, vedendo morire in campo un calciatore, che nonostante stesse “giocando a calcio”, svolgeva il suo lavoro, per cui era pagato come altri lavoratori. Molte sono le persone che quotidianamente perdono la vita svolgendo il proprio lavoro. Quando questo accade sotto la lente d’ingrandimento dei media e della televisione in particolare, coinvolge emotivamente milioni di persone come se fosse un evento unico. E’ una delle situazioni inspiegabili e strabiche del nostro mondo che pensa che l’apparire sia più importante dell’essere.
E’ auspicabile che il clamore e l’attenzione sollevate da uno aiuti a considerare il silenzio di molti.

sabato 14 aprile 2012

Il gioco delle parole


Con il Cluod Computing ho alcune incomprensioni. Non nego che il moltiplicarsi dei servizi offerti dalla rete ormai sia tale che, per i privati sarà sempre meno conveniente dotarsi di PC potenti in casa, approfittando oltre che dei servizi di messaggistica e collaborazione, presenti in rete, già di largo consumo, anche della crescente disponibilità di spazio per memorizzazione dati quali foto, documenti, ecc.
Google è l’esempio più evidente di questa trasformazione in atto.
Le aziende, soprattutto quelle medio piccole ben presto scopriranno il vantaggio di non doversi più dotare di strutture informatiche in casa, delegando a servizi Cloud tutte le loro necessità di gestione amministrativa e di processo. 
In quest’ultimo anno tra i vari fornitori di servizi internet si è instaurata una sorta di competizione per accaparrarsi una fetta di questo mercato potenzialmente enorme. Tra l’altro chi se ne stava sdegnosamente fuori oggi improvvisa, proponendo servizi talmente allo stadio preliminare da essere di fatto solo su diapositive di PowerPoint. 
Insomma un po’ di sostanza c’è, ma non dappertutto.
Ci sono inoltre svariati aspetti da approfondire, primo fra tutti quello della sicurezza, dell’alta affidabilità del servizio e, non ultima, quelle delle eventuali penali da riconoscere a fronte di disservizi capaci di impattare sul business aziendale.
Oggi il Cloud Computing, mi appare come un grande parco giochi dove chi vuole può fare sperimentazione, sviluppo e test ma dove, prima di appoggiare la componente IT del  proprio business bisogna pensarci sopra.  E’ una questione di tempo, il servizio migliorerà e molti, io per primo, tra un po’ saranno più confidenti.
Ieri parlando con un manager di una di queste grandi aziende fornitrici di Cloud Computing, ho manifestato l’intenzione di eseguire un POC (proof of concept), sul loro Cloud, testando direttamente un ambiente di produzione opportunamente ritagliato e con tutte le sicurezze necessarie.
Davanti a tale proposta, la risposta immediatamente affermativa, è stata seguita da alcune precisazioni importanti.
Quella che più mi ha fatto sobbalzare è stata la seguente:
“Se la vostra azienda ci richiede uno SLA (Service Level Agreement) del 99.99%, tipico degli ambienti di produzione, dovete dare a noi la gestione dei vostri sistemi e quindi fare a meno di tutte quelle caratteristiche del Cloud Computing quali: la possibilità di configurare e gestire le macchine come fossero a casa vostra e poterle accendere e spegnere a richiesta o su necessità”.
Sono "vecchio d’informatica" e purtroppo anche un vecchio informatico, ma di certo non mi piace che qualcuno tenti di vendermi un aspirapolvere usato, anche se pulito e lucidato, cui è stato solamente cambiato il nome.
Da quel manager, che mi aveva fatto pervenire della diapositiva molto altisonanti e piene di termini nuovi, mi sono sentito un po’ raggirato. Per anni molti suoi colleghi hanno fatto la fila tentando di vendere un servizio del tutto simile che portava solo un nome diverso: Outsourcing.

giovedì 12 aprile 2012

Parametri Macchina

Pressione Massima    110
Pressione Minima         63

Frequenza   cardiaca    51


Ritornare ai controlli di un tempo non fa male.
Tra la conoscenza e il "mi sento bene", c'è almeno il conforto dei numeri. La storia insegna che. non sempre misurare i fenomeni significa conoscerli.
Lo ho provato sulla mia pelle.
Un'occhiata comunque, ogni tanto non fa male. Riporta a galla la consapevolezza che la strada è sconnessa e si deve stare attenti a dove si mette i piedi, senza esagerare con la velocità.
Per finire, altro traguardo raggiunto, e qui ci è voluto del tempo, troppo :  si cambia casa, anzi residenza. Finalmente ho una casa anche nella mia testa.

Bassa Pressione

La bassa pressione è arrivata. Oggi la pioggia ha mantenuto le promesse delle previsioni. Acqua a catinelle tanto da rendere insopportabile il rumore provocato dall'acquazzone sulle lamiere della fabbrica.
Concentrasi risultava impresa ardua. Meglio mettersi ad ascoltare la pioggia e il suo effetto sui progetti arditi degli architetti.
Bassa era la pressione atmosferica e altrettanto bassa doveva essere la mia pressione arteriosa.
L'insicurezza e l'ebrezza si impadroniva di me ogni qualvolta mi alzavo per spostarmi. Subito i punti di riferimento diventavano labili. Mi concentravo nel mantenere la direzione e controllare l'ansia e la paura di perdere improvvisamente conoscenza.
Sentirmi girare la testa evoca brutti ricordi oggi, che ormai sono passati più di due anni, più di quanto mi succedeva appena accaduto l'incidente di cuore.
Mi capita, talvolta, di essere preso dal timore di imbattermi nuovamente in quel contrattempo, ecco così che se mi gira la testa tento di aggrapparmi al mondo.

L'ansia dopo poco monopolizza il mio stato d'animo, accelerando il cuore. Con pazienza mi allontano con la mente da quella situazione, come se non mi appartenesse. Penso ad altro, cerco il dialogo per riprendere il controllo che vacilla.
Il pomeriggio ha riportato più normalità scacciando ogni timore.


lunedì 9 aprile 2012

L'apprendista


Il “colmeo” nel  dialetto delle parti mie, sta a significare gruppo di case. Abitavamo nel “colmeo” più lontano dal paese, in bilico tra due comuni. Da poco quel gruppo di case con tutti i suoi abitanti erano passati sotto il controllo del municipio più lontano. Nonostante il cambiamento, eravamo comunque rimasti fedeli  al paese del vecchio municipio, dove si continuava a frequentare il mercato del lunedì  e i negozi della piazza per le spese più importanti. Dall’altra parte si andava solo  per le  pratiche amministrative.
Il confine era tracciato, e lo è tuttora, in quella zona, da un canaletto, chiamato Padovana. Già a quei tempi  era per lo più , una fogna a cielo aperto piuttosto che un vero corso d’acqua. Si ingrossava solo in occasione di grandi piogge e temporali o quando veniva sbarrato da chiuse per innaffiare i campi.
La strada era stretta, i fossati che la delimitavano per tutta la sua lunghezza erano sempre curati e puliti dai contadini. Avevano acqua per molta parte dell’anno e durante l’inverno, quando erano particolarmente ricchi d’acqua ghiacciavano tanto da permettere di scivolare con la slitta.
Tra la strada e il fosso a intervalli regolari cresceva un platano. Due file di platani accompagnavano la striscia di asfalto, senza pause,  fino al limitare del paese.  Quando il sole estivo batteva inesorabile, percorrendo la strada per andare in paese si aveva la sensazione di passare sotto una galleria, all’ombra e al fresco.
Noi ragazzi andavamo in bici senza ansie ne paure,  perché le macchine erano poche e l’ombra degli alberi era l’aria condizionata di quei tempi.
Crea era la frazione e la parrocchia. Là stavano la chiesa, il prete , le scuole elementari e l’asilo. Il nome deriva da creta che sta per argilla, di cui è costituito in massima parte il terreno  di quella zona. Ci si conosceva tutti.  C’erano  vari “colmei” che spesso coincidevano con gruppi di famiglie tra loro imparentate,  tutte con lo stesso cognome .
La scuola era sorta all’interno di una vecchia villa veneta, una delle tante appartenenti alla famiglia Pisani. Era alta e austera e governata da una sola bidella minuta e gracile, che abitava in una piccola dependance; una sorta di casupola costruita nel retro della villa.
Poco più in là la chiesa della villa era diventata la chiesa parrocchiale. Era piccola e il campanile aveva le campane che si suonavano con le corde.  Il prete diceva messa volgendo le spalle ai fedeli .
Appena iniziai ad andare a scuola mi arruolai nel corpo dei chierichetti della parrocchia. La gavetta non fu delle più facili. Si faticava sempre a trovare chi dovesse servire alla messa prima della Domenica che si teneva, puntuale, alle sei del mattino per non intralciare il ritmo del lavoro contadino, ma soprattutto quello  delle donne che erano tra i fedeli , le più assidue e puntuali .
Durante il primo anno di apprendista chierichetto, mi sobbarcai molte levatacce mattutine per servire a messa prima. Durante l’inverno mia madre mi accompagnava in bicicletta tra gelo e nebbia. Se arrivavo un po’ in anticipo potevo sperare di tirare la corda per qualche rintocco di campana, l’ultimo prima dell’inizio della messa.
Per i primi tempi , inoltre svolsi funzioni di assistente chierichetto, quello “che faceva meno”. I miei compiti si  limitavano a tenere l’asciugamano all’offertorio e ad alzare la stola del prete durante la consacrazione.
Finito l’apprendistato, da primo chierichetto invece affrontai le mansioni più importanti come  versare l’acqua e il vino all’offertorio, suonare le campanelle durante la consacrazione e tenere il piattino alla comunione ma soprattutto, durante le funzioni più importanti  portare il fuoco, cioè dondolare il crogiolo con l’incenso fumante.
Col tempo approdai alla messa più frequentata della mattino, anche grazie all’arrivo di apprendisti più giovani  a cui assegnare i compiti più ingrati e le messe più scomode.
C’era comunque un risvolto economico, che data la mia poca propensione per gli affari, non mi ha mai allettato. In caso di funzioni particolari come battesimi, funerali e matrimoni c’era la possibilità di ricevere delle mance.   I volontari per queste occasioni erano molti e, a volte, si rischiava di litigare. Io lasciavo fare e preferivo passare i pomeriggi al campo da calcio per interminabili partite da cui tornavo sporco e felice.
Già a quei tempi  non consideravo i soldi importanti. Oggi, come ripeto spesso, lo sono ancor meno.

venerdì 6 aprile 2012

La Distrazione


Chissà cosa staranno pensando tutti i  militanti della Lega che fiduciosi e ossequiosi al capo gremivano Venezia o i raduni di Pontida, vestiti da Celtici con tanto di elmo e spada ?
Non oso pensare come alcuni di loro, oggi, userebbero quelle lance e quegli elmi ….

Il primordiale slogan “Roma Ladrona”, ritorna alla mente sinistro e beffardo. E’ stato il motto di un’onda impetuosa, un segno di ribellione di chi si sentiva onesto e migliore, ma è diventato con il tempo, il segno di un destino. A Roma basta sostituire Padania e la trasformazione è presto fatta.
Padania, il marchio su cui è stato incentrato il marketing della Lega, evaporerà come molte delle “ideologie” leghiste. Non potrà resistere al peso della vergogna ne al peso del raggiro perpetrato nei confronti di chi ci ha creduto fino in fondo. Per chi si troverà tra le mani la pesante eredità di far sopravvivere la Lega non sarà facile reinventare qualcosa in cui far credere la gente del Nord Italia.
La “genialità” di Bossi è stata quella di porre l’asticella talmente alta da sfiorare il sogno, ma proprio in quanto sogno è stata, negli ultimi 25 anni, l’utopia irraggiungibile dei suoi seguaci.
Egli è riuscito a  distrarre tutti dai problemi veri, allontanando sempre più la verifica, come un saltatore in alto che salta una misura per cimentarsi nella prossima. Ogni volta che serviva intorpidire le acque, nascondere il malessere e, oggi sappiamo, il malaffare, la grande utopia usciva dagli altari Celtici, simboleggiata dall’ampolla del Po o scandita nei roboanti discorsi di Pontida. Che strano il Popolo del Nord, tanto scaltro e efficiente nel lavoro quanto ingenuo e credulone davanti al “senatur” a cui per anni abbiamo perdonato ogni blasfemia come si fa, di solito, con una persona che non sa ne intendere ne volere.
Per intendere, intendeva e quel che voleva, lo ha preso a man basse.
Non tutte le persone del Nord Italia sono e sono stati Leghisti. In molti, in silenzio o brontolando ci siamo chiesti con che delega questi signori si sono appropriati della nostro senso di appartenenza e del nostro territorio senza nemmeno l’ombra di un voto di maggioranza.
L’arroganza della Lega è stato l’aver parlato in nome di troppi, come se le adunate di Pontida fossero la prova di un referendum plebiscitario.
Quante volte ho pensato : “Non in nome mio”, sentendo le aberrazioni dialettiche, talvolta razziste di questi personaggi. Mai mi sarei aggregato alle orde di guerrieri celtici provenienti dalla Brianza o dalle Valli Bergamasche, tante volte minacciate da Bossi.

Sembra di essere ritornati  negli anni 90, periodo della grande crisi dei partiti. Nel giro di qualche mese sono usciti di scena due dei più grandi artefici della politica scellerata degli ultimi venti anni.
Nel regime consolare (Monti - Napolitano) in cui stiamo transitando, Pd e PDL stanno sopravvivendo, solo grazie al supporto che stanno dando all'attuale governo, ma nei pressi delle elezioni del prossimo anno, nel caso il Professor Monti decida di non candidarsi, rischiano seriamente di esplodere o implodere.
Cosa stanno facendo gli Italiani ? Come sempre si mettono nelle mani di qualcuno. Fino a pochi mesi fa credevamo al “ghe pense mi” di Berlusconi, oggi hanno affidato il proprio futuro nelle mani e le capacità di un Professore e di un ex Comunista quasi novantenne, che data l’età, deve essere stato un comunista vero.

Dopo quanto sta succedendo viene spontaneo chiedersi a quale politica siamo destinati, quale nuovo significato dare a questa parola. Ci stiamo avviando verso la politica del condottiero illuminato o ritorneremo al quella dei partiti del secolo scorso ?
Ero pessimista nel pensare che la nostra educazione civica fosse ormai deteriorata al punto tale da dover attendere il naturale ricambio generazionale per rinnovarsi,. Oggi invece, sono un po’ più ottimista. Forse il buon esempio e la buona fede di una nuova classe dirigente può accelerare il processo di normalizzazione .
A confortarmi in questo è il forte impatto mediatico dei blitz contro l’evasione fiscale. Questi stanno sgretolando quella credenza "morale", che faceva degli evasori dei furbetti da imitare, piuttosto che etichettarli come dei semplici ladri.
Ora molti sentono il bisogno di più giustizia sociale e più senso di condivisione e appartenenza.

Ma la stagione che ci separa dalle prossime elezioni politiche è troppo breve perché possa attecchire una nuova coscienza civica. Forse ci servirebbe un periodo “consolare “ più lungo o come dice chi fa politica di una nuova fase Costituente, capace di rigenerare le coscienza di tutti aggiornando le regole alla luce della nuova realtà e dei passati disastri.
La politica, quella stantia e superata del secolo scorso, deve farsi da parte accettando un periodo di incubazione, in attesa che fioriscano nuove idee e nuove coscienze.

giovedì 5 aprile 2012

Le basi


“Il libro le potrà dare delle solide basi”.

Così terminava il messaggio di risposta della Tutor Online alla mia richiesta di avere un libro dove approfondire tutto ciò che, in maniera per me incomprensibile, viene proposto nelle slide online  del corso di Biologia.

La risposta a dire la verità si è fatta aspettare per un po’ di giorni. Io intanto, per non perdere il ritmo con l’erogazione delle lezioni, ho continuato a scontrarmi con termini ostici e poco contestualizzati. Anche la lettura in certi casi è risultata difficoltosa.

Quando ho letto il titolo del testo consigliatomi, attraverso internet è stato un attimo acquistarlo congiuntamente alla modalità di consegna più veloce. Internet è un negozio sempre aperto e soprattutto, si trovano delle ottime occasioni. Già lunedì mattina, prima delle nove, una mail mi aggiornava sullo stato dell’ordine e sui tempi previsti di consegna. Martedì sera avevo il libro a casa.

Ma nel momento in cui, aperto il pacco, ho preso coscienza del “peso del libro”, mi sono ritornate alla mente le parole del messaggio della Tutor, quando faceva riferimento alle “solide basi”

Il libro, composto da 1300 pagine, pesante più di 3 Kg e le cui dimensioni mi ricordano i volumi delle enciclopedie di un tempo, è sicuramente un’ottima base, anche per eventuali sviluppi “immobiliari”.

Passata la sorpresa iniziale, i contenuti invece sono tutt’altra cosa rispetto alle slide. Nel volume , almeno trovo, associate alle parole “strane”, immagini, schemi e disegni che fanno apparire questa nuova materia, un po’ più accessibile.
Ora non mi resta che ripartire dalla slide numero uno e recuperare il tempo perduto.
Per fortuna, la mensola appena installata nel’angolo studio di casa mia, sembra sufficientemente solida per sostenere “ la solida base “.

martedì 3 aprile 2012

IPOD Playlist

Non si può
fare quello che si vuole
non si può spingere
solo l'acceleratore.
Guarda un pò
ci si deve accontentare.
Qui si può solo perdere...
....e alla fine non si perde neanche più    

Il mondo che vorrei - Vasco Rossi

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Sono tornato dal viaggio un po' arrabbiato e deluso. 
Mi sono sentito preso in giro.
(81 caratteri)

UnoUndiciETrentacinque


UnoUndiciETrentacinque. Un'Ora Undici Minuti e Trentacinque Secondi, questo è il tempo che valgo oggi nei 12 km. La corsa di Domenica mattina, al parco San Giuliano di Mestre, a latere di una competitiva  mi ha permesso di misurarmi su una distanza certa.
Le gare non competitive che si svolgono in gran numero in questo periodo, hanno spesso misurazioni approssimative e saltuarie. Ci si può imbattere in un chilometro lungo e uno corto nonostante che, metodi di misurazione precisi siano alla portata di chiunque. La necessità di far combaciare diversi percorsi fa prendere agli organizzatori delle “licenze” metriche alquanto discutibili. Alla fine l’importante è correre e avere energie sufficienti per non sentirsi improvvisamente svuotati.
Il tempo di ieri, nonostante il vento e qualche saliscendi è stata una delle mie migliori prove sulla distanza di questo ultimo anno. Il passo è un po’ più veloce di 6 minuti al chilometro e considerando che, non ho alle spalle un allenamento continuativo, la prestazione mi ha dato una certa soddisfazione.
La corsa e l’organizzazione era fatta da gente del mestiere; gente abituata alle gare vere, dove ciò che conta è il  risultato e non la partecipazione. I ristori infatti erano tutt'altra cosa rispetto al solito. Acqua lungo il percorso e The all’arrivo accompagnati da biscotti e spicchi d’arancia. L’essenziale fatto ristoro.
Non vi era traccia ne di panini e nemmeno di minestroni o paste con vari condimenti.
Gli atleti, quelli iscritti alla gara competitiva, avevano il chip alla caviglia per una rigorosa misurazione del tempo. A una attenta osservazione, per molti di loro l’appellativo atleta poteva sembrare alquanto generoso. Ma spesse volte, e non solo nella corsa, l’apparenza inganna.
Dopo la partenza, avvenuta nel più classico dei modi : con un colpo di pistola, molti di loro si volatilizzarono nel giro di pochi chilometri, altri invece mi superavano con un passo, solo un po’ più lesto, indugiando al mio ritmo, giusto il tempo per scambiare qualche parola per poi riprendere, allontanandosi quasi in maniera impercettibile ma costante.  
Con pazienza e autocontrollo ho resistito alle tentazioni di non mollare accelerando quel tanto da non farmi superare, ma appena il respiro manifestava qualche affanno rallentavo, frenando come una macchina a cui manca di colpo la benzina.
I ritmi lenti permettono momenti di socializzare con chi ti corre a fianco. A volte si tratta di banali constatazioni sulla distanza o sulla durezza del percorso, espressioni quasi sillabiche non sempre comprensibili. Ma quando l’andatura è particolarmente rilassata può succedere di sentirsi raccontare storie di vita e di corsa, narrate da persone che a vederle lì, di fianco a trottare, quasi non sembrano credibili.
Sono storie e ricordi che provengono dai tempi dell’oro di ciascuno, quando la giovinezza e le motivazioni permettevano imprese  quasi impossibili. Chi le racconta ne va fiero come se fossero imprese del  figlio prediletto e non episodi risalenti a qualche decennio prima. Le grandi gioie in genere tendono a non invecchiare ne a essere dimenticate, risalgono, accompagnandoci, gli anni della vita tanto da sembrare dell’altro ieri.