martedì 31 gennaio 2012

Piove... anzi nevica


Piove e continua  a piovere. Anzi mentre andavo al bar a pranzare, il vento, il freddo e il sole “malato”, mi hanno fatto presagire che poco mancasse a veder nevicare.
E’ vero abbiamo avuto il bel tempo, freddo e secco, ma a pensarci bene, il sole era l’unica cosa bella rimasta in questo periodo un po’ strampalato.
Ci raccomandano di tenerci stretto il lavoro, magari ingoiando qualche rospo più grosso del solito. Si pone molta attenzione  a produrre con il minimo indispensabile,  scovando nelle macchine, in funzione da anni, giorno e notte, le sette vite dei gatti.
“Non crucciamoci più di tanto, periodi neri ce ne sono stati molti,  peggiori di questo!",
"Ne siamo sempre usciti vivi!”,
” In fondo lo stipendio a fine mese è garantito”, dicono i più vecchi del gruppo, quelli che si fregiano di essere sopravvissuti a mille battaglie
Ma il passato è passato, e il futuro è quanto di più imprevedibile ci possa essere in questi tempi di crisi.
Pensare che essere esperti di passato ci promuova automaticamente esperti di futuro significa condannarci a soccombere. Difatti ogni giorno esce una notizia nuova, una notizia peggiore di quella del giorno precedente, che di per se già metteva inquietudine.
Mi vien da pensare : “Oggi sta andando bene, domani forse sarà uguale e se stasera  me ne sto tranquillo, magari dormo tutta la notte”. 
“Domani arriverà lo stesso”, grida Vasco cantando “Un senso”.
Daremo un senso anche a domani come a ogni giorno che attraversiamo e qualche scossone in più alla vita  non guasterà.

domenica 29 gennaio 2012

Il ripetente


I particolari , le piccole  cose sono spesso la lente di ingrandimento per capire i grandi sentimenti.
E’ come se per capire la natura della materia si dovesse porre prima di tutto l’attenzione agli atomi che la compongono.
La sensibilità verso le piccole attenzioni, ai gesti impercettibili spesso danno lo spessore di un amore e del legame tra due persone.
La sintonia si misura dai gesti di intesa, dall’intendersi senza parlare e dal parlare fino a capire il perché di ogni incomprensione.
Niente va lasciato intentato e dato per scontato, rimandando a domani quello che deve essere risolto al più presto. Le incomprensioni creano altre incomprensione e aumentano le distanze affievolendo i sentimenti.
L’abitudine tende a renderci insensibili al mondo delle piccole sensazioni e qualche volta nella vita si cerca nel cambiamento di rigenerarsi.
Non sempre la fuga riesce, a volte un amore muore per morte naturale, altre volte, il voler andare lontano senza rinnovarci dentro, cercando nuove esperienze, ci porta a un punto del tutto simile da quello in cui si è partiti. Ci si ritrova a rifare gli errori da cui eravamo fuggiti.
Dov’è la soluzione ? Non credo ci sia. Sapessimo già risolvere i problemi di matematica non andremo a scuola fin da piccoli.
Stessa regola vale per gli incidenti della vita. La vita è la scuola che dobbiamo frequentare ogni giorno. Non è frequente essere rimandati a settembre, il più delle volte le bocciature sono senza appello.
“Ripetere l’anno” con le ritrovate motivazioni è più faticoso di quanto si possa pensare.

mercoledì 25 gennaio 2012

Gli ultimi quattro giri

“Tra quindici giorni farai un 10 mila”, mi disse l’allenatore una sera di maggio appena terminato l’allenamento.
“In pista, un diecimila ?”, chiesi come a voler dire, “Non sono preparato, posso giustificarmi ?”.
“Si,  ti ho già iscritto”, mi disse con il tono di chi domina i programmi dei suoi atleti.
Da quel giorno fu come avessi segnato sul calendario una ricorrenza importante. Una data a cui non potevo sfuggire. Quella gara mi procurò, nei giorni successivi, un ansia e un pensiero continuo.
Sapevo che sarebbe stata una sofferenza.
Non mi spaventava la distanza. Già le tabelle di allenamento che stavo seguendo, prevedevano un allenamento ad andatura medio veloce, sui diecimila metri, tutti i mercoledì.
Io rispettando diligentemente quanto previsto, percorrevo la distanza su un circuito, presso gli impianti sportivi vicino casa, della lunghezza di 1200 metri : poco più di otto giri.
Riuscivo a tenere una andatura di poco inferiore ai  quattro minuti al km e, dopo meno di 40 minuti la sofferenza e lo sforzo finivano.
La pista invece, con i sui 400 metri di lunghezza, non mi era mai piaciuta. Troppo difficile dal punto di vista mentale inanellare chilometri girando in un anello così breve.
Non sopportavo nemmeno fare i 3000 metri, che finivano dopo appena sette giri e mezzo.
Per fare 10000 metri bisognava concludere 25 giri di pista !
“Un’agonia e una sofferenza”, pensavo nei giorni che precedettero al gara.
La gara arrivò un sabato di Maggio. Il meeting era tutto dedicato ai 10000 in pista.
Gli iscritti erano tutti giovani e probabilmente io, con i miei 37 anni, ero il più vecchio.
Le batterie erano congegnate in modo da mettere in gara atleti delle prestazioni paragonabili. A me, che non avevo mai corso la distanza,  assegnarono l’ultima batteria, quella che avrebbe chiuso il meeting.
Dopo la prima gara, capii che tra me e il più scarso dei concorrenti, c’erano alcuni minuti di differenza. Avevo la netta sensazione di essere capitato nel posto sbagliato.
Ma ormai c’ero e decisi di partecipare, qualunque fosse stato il risultato.
Più la gara si avvicinava, più la mia inquietudine cresceva.
Quando mi chiamarono alla partenza, l’ansia sparì. Mi accostati agli altri e tremante attesi il fatidico sparo.
Partii  con la stessa lena degli altri ma, dopo poche centinaia di metri, capii che quel ritmo sarebbe stato un suicidio per me. Rallentai e mi lasciai sfilare in fondo a tutti .
Passai al primo km in tre minuti e trenta secondi, già un po’ distaccato dal gruppo.  Da quel momento mi preoccupai solo di arrivare trovando il ritmo giusto. Rallentai fino ad correre su ritmi a me più congegnali, facendomi doppiare più di una volta dagli altri concorrenti.
Contavo i giri che mi mancavano ad ogni passaggio sotto l’arrivo.
Ad un certo punto, mentre percorrevo la parte opposta al rettilineo finale, sentii le voci concitate del pubblico che assisteva all’arrivo dei primi. Quando passai, ormai solo in pista, sotto l’arrivo, i giudici di gara avevano impostato il contagiri a -4. Mi mancavano ancora 4 giri.
Percorsi quegli ultimi 1600 metri come fossero in leggera discesa. Pensando a ogni passaggio che oramai era finita.
Tagliai il traguardo in 38’ e 59”. I giudici, che mi stavano aspettando, avevano tutta l’aria di chi aveva molta  fretta di andare a casa.
Entrai negli spogliatoi dove alcuni dei miei avversari erano già usciti dalla doccia.
Salutai, con un certo imbarazzo, dicendo : “Sono arrivato”, ma nessuno mi accennò qualcosa che potesse assomigliare a una sorta di risposta.
L’allenatore, valutando il tempo, probabilmente compromesso dalla partenza a razzo, mi disse che potevo fare meglio e con l’esperienza avrei imparato a gestire meglio la gara.
Io gli risposi che quell’esperienza mi sarebbe bastata per il resto dei miei giorni.

Il dilemma dei porcospini

... In questo periodo occorre negoziare e individuare la vicinanza interpersonale ottimale : ne troppo stretti (vicini) ne troppo aperti (distanti).
Sembra essere valido ciò che Schopenhauer [1831] chiama il "dilemma dei porcospini" : nella stagione invernale, se nella loro tana i porcospini sono troppo vicini, finiscono per pungersi a vicenda e si allontanano; se invece, stanno troppo distanti, sentono freddo e si avvicinano fra loro. In un gioco di "avvicinamento-distanziamento" senza fine.

Brano tratto da "Psicologia Generale" - Anolli - Legrenzi

martedì 24 gennaio 2012

Il giorno traballante


Capita di essere svegliato da un sms, di buon mattino. Capita di essere destato da uno di quei segnali che un tempo pensavo potessero cambiare la vita, come, quando avevo vent’anni, l’arrivo del congedo, cambiava la vita di un giovane che doveva andare militare
Ho imparato a leggere con il distacco necessario, queste parole che, se fossero veramente importanti, sarebbero di certo trasmesse in maniera più diretta.
La  tecnologia non ha migliorato la comunicazione, l’ha solo aumentata.
Ma rispondere è comunque una forma di gentilezza che porta con sé ancora un barlume di speranza.
Basterebbe alzare il telefono, nonostante l’ora, per chiarire in pochi secondi ogni cosa, concretizzando l’obiettivo del messaggio originale.
L’importanza lo giustificherebbe.
Ma preferisco continuare a dialogare usando quei maledetti 160 caratteri.
Alla fine mi sono restate nella mente le ultime parole di uno dei messaggi :
“Ti faccio sapere. Grazie. Ciao”.
Ci ho messo un giorno per capirne il senso.

Verso le undici, ho cominciato a sentirmi stranamente inquieto, traballante e incapace di mantenere la concentrazione necessaria. La testa ha cominciato a  girare e l’equilibrio non era del tutto garantito. La paura aumentava la paura, l’ansia aumentava l’ansia. Aspettavo da un momento all’altro di partire per lo spazio senza coscienza.
Poi, raccolti pochi respiri, ho fermato la riunione, chiedendo una pausa per un sorso d’acqua e un po’ d’aria. La sicurezza è tornata molto lentamente. L’inversione di rotta, “il messaggio che ti cambia la vita”, si è fatto aspettare per un po’, ma per fortuna è arrivato. Con calma anche la concentrazione si è ritrovata.

Pensavo al Gatto e alla Volpe della favola di Pinocchio.  Non so perché, forse ispirato dai comandanti coraggiosi, tanto in auge di questi tempi.
Molte volte mi sono imbattuto in Gatti e Volpi tanto sbilenchi quanto malvagi ed egoisti, che adulandomi, convincendomi di pensare al mio bene e giurandomi amicizia per la vita, mi hanno svuotato di speranza, portandomi via il futuro.
Poi, per qualche tempo, forse per superare i furbi, ho indossato i panni sia del Gatto che della Volpe.
Cara amica ti chiedo un briciolo di fiducia. Non saprei più essere ne un Gatto ne una Volpe.
Ho fatto pace con la sincerità.

domenica 22 gennaio 2012

Una Corsa come poche

Stamattina lo scenario era quello delle grandi occasioni, quello delle grandi maratone.
La Monterfortiana, giunta alla 37 edizione, è stata resa famosa dalla singolarità dei ristori organizzati lungo il percorso. Sono ormai mitici le salsicce e polenta, il minestrone preparato dagli alpini, il vin brullè e la china da bere prima dell’ultimo chilometro.
Nell’intervallo tra un ristoro e l’altro si corre, si passeggia ma soprattutto si aspetta il prossimo ristoro.
Questa fama fa si che nel paesino appollaiato nelle vicinanze dell’autostrada A4 nei pressi di Verona si diano appuntamento una moltitudine enorme di podisti o presunti tali. Circa 20 mila erano, stamattina, le presenze stimate.
Primo problema il parcheggio. Per evitare l’ingorgo io e mio figlio ci siamo fatti mattinieri. Partiti alle cinque, siamo arrivati a destinazione, bucando la nebbia insidiosa che era calata lungo l’autostrada, alle sei o giù di lì.

Non eravamo i primi. L’organizzazione era già in moto o probabilmente non si era mai fermata. I parcheggi migliori erano già occupati, ma un posto per la macchina, poco lontano dalla partenza, non è stato difficile scovarlo.

Il freddo era pungente, non so quanto fosse sotto zero, però un cappuccino in un bar e un caffè in un altro ci ha permesso di stare al caldo. Verso le sette e mezza, vestiti i panni del podista, mi sono recato nella zona della partenza. Non riuscivo a far fronte al freddo che progressivamente mi stava gelando. Intanto spuntava gente da tutti i “cantoni”.
La partenza alle otto e mezza, quando ormai avevo i piedi e le mani gelate, ha messo in moto migliaia di persone. Meglio ha messo in moto i primi. Io, che me ne stavo un po’ nelle retrovie, ho potuto muovermi dopo qualche minuto. Prima camminando, poi correndo con attenzione districandomi tra gli altri podisti.
Solo dopo tre chilometri, ho cominciato a correre serenamente, mentre dopo il quarto chilometro il gelo ha cominciato a sciogliersi e anche il paesaggio è diventato di colpo molto più piacevole.
I ristori erano come i negozi appena partiti i saldi: assediati ma comunque accessibili.
Ho avuto modo di mangiare i wurstel poco dopo il via, il minestrone con vin brullè al ristoro degli alpini, mentre quando potevo corroborarmi con un po’ di china ho preferito non fermarmi.
Al traguardo c’era di tutto : dai dolci ai tortellini e bibite di ogni tipo.

Una corsa come se ne vedono poche. Una festa popolare che nemmeno le grandi maratone riescono a eguagliare. Pochi tra coloro che erano alla partenza stamattina pensavano alla corsa come una prova contro il tempo, era solo un intermezzo tra un cicchetto e un vin brullè.

sabato 21 gennaio 2012

La grinta dell'estro


Mio padre diceva che non avrei mai fatto carriera nel mondo del calcio perché non avevo la grinta necessaria.
Difatti di carriera nel calcio non ne ho fatta, di certo la grinta non era sufficiente, ma sono convinto che questa non sia stata l'unica motivazione.
Ritornando alle parole di mio padre di certo, esse avevano un effettivo fondo di verità. Non giocavo male a calcio, ero dotato di una buona tecnica, atleticamente ero adatto e avevo anche delle doti di leadership che mi hanno, soprattutto nelle categorie giovanili, fatto vestire i gradi di capitano della squadra.
Giocavo mediamente bene e, quando facevo l'attaccante, mi riusciva anche di fare spesso qualche goal. Il mio approccio però alla partita era sempre in po' da spettatore, da quello che non riusciva a far andare le cose come voleva lui. Mi capitava quasi sempre di non entrare completamente in partita.
Non era quindi la grinta a motivarmi, che al contrario mi avrebbe fatto entrare ogni volta in campo con la voglia di spaccare il mondo.
Mi piaceva giocare e far giocare privilegiando la forma e la bellezza, alla sostanza e alla grinta.
Applicando queste regole non sempre era facile vincere.

Altre volte a partita iniziata ero baciato da un particolare stato di grazia, che poteva scattare per mille motivi : un bel passaggio, un duello vinto oppure l'aver visto a bordo campo qualcuno, a cui tenevo, che era venuto a vedermi. Da quel momento diventavo imprendibile, riuscivo a vincere quasi tutti i contrasti, facevo cose impensabili e tutto mi riusciva di una facilità estrema. Non di rado in quelle occasione riuscivo pure a fare goal. Questa condizione riusciva a far emergere pure la grinta e una maggiore voglia di lottare, con la convinzione di poter superare l'avversario.
Mio padre dopo prestazioni simili non finiva di elogiarmi, ma alla partita successiva ritornavo, quasi sempre, nel solito torpore.
Quindi più che aiutato dalla grinta ero caratterizzato dall'estro che scattava secondo dinamiche del tutto imprevedibili.
Non ho mai capito quali potessero essere le situazioni capaci di far scattare questo stato di grazia.
Nel prosieguo della vita ho potuto verificare che tra le condizioni esterne capaci di motivarmi nel raggiungimento di certi obiettivi c'era la famiglia e lo stato affettivo, mentre per tutti gli anni in cui ho praticato la corsa, ho potuto beneficiare dello stato di benessere indotto dalla attività fisica, capace di trasmettere energia e una visione della vita del tutto positiva.
Un tempo paragonavo questa condizione a quella leggera ebrezza che prende dopo aver bevuto un bicchiere di vino.

Oggi pensavo questo, mentre correvo lungo la pista ciclabile e a un certo punto ho cominciato, in centro al paese, a saltare come un ragazzino sopra i parra-carri posti al lato della strada, incurante dei giudizi di che stava guardano.
Era palese a tutti che a fare quei gesti non era un ragazzino, ma un ultra cinquantenne, ma a me andava di farlo e stavo bene, sicuro di non farmi male o scivolare.
Passato il paese, preso da questo inatteso benessere, ho pensato bene di fare degli allunghi, come ai bei tempi. Appena il respiro cominciava a diventare affannoso, pensando al mio cuore, rallentavo immediatamente. In ogni caso ho ritrovato, per qualche minuto, quello stato di grazia provato nei campi di calcio di quando ero ragazzo.

Forse non ho mai capito di essere più creativo che tecnologico, più estroso che grintoso.
Meglio, l'ho capito troppo tardi.

venerdì 20 gennaio 2012

IPOD Playlist

Smile, without a reason why
Love, as if you were a child
Smile, no matter what they tell you
Don’t listen to a word they say
'Cause life is beautiful that way  

.....


Beautiful That Way (La Vita è Bella)
Musica: Nicola Piovani; Voci : Noa + Gil Dor 

giovedì 19 gennaio 2012

Il puzzle


Fuori il freddo sembra non voler affondare il colpo.
Il termometro della carrozzeria da qualche sera non vuole scendere sotto i meno quattro gradi. Esco ogni sera, senza coprirmi più di tanto a controllare. Mi porto fino al centro del piazzale da dove è possibile vederlo. Poi rientro e mi godo il tepore della casa, mai apprezzato come in questo periodo.
Fra freddo, ma in altri tempi ne faceva anche di più.
Gli alberi, al mattino, hanno i rami gelati. L’anno scorso ripensavo a questi paesaggi gelati come fossero ricordi d’infanzia. Ora mi dico : "Non tutto è andato perso"
Stamattina ho attraversato la piazza di un paese sotto una fitta nevicata. Ne prima ne dopo nessun altro segno di neve. Qua dicono fosse neve finta. In ogni caso l’imitazione era perfetta.

Da qualche tempo vivo serate silenziose. Il telefono sembra pure lui attanagliato dal freddo.
Non sto male, anche se studiando, lo tengo vicino. Caso mai suonasse mi dispiacerebbe  non sentirlo.
Gli sms sembrano una tecnologia del passato, ne arrivano sempre meno, non ne scrivo quasi più.           
Speravo fino a qualche tempo fa che queste nuove modalità di comunicazione fossero portatrici di buone notizie o di sorprese inattese, oggi, sempre di più aspetto che il campanello suoni e quella donna del sogno mi sorrida.

Ho passato periodi in cui, il timore che il telefonino suonasse nei momenti meno opportuni, mi faceva vivere nel terrore. Sempre all’erta, attento a renderlo silenzioso. Una vita d’inferno.
Era il tempo delle bugie e del castello di carta che avevo costruito attorno.
Ora sto bene. Non lo silenzio più. E’ stata lunga la strada ma, per chi non lo avesse provato, posso assicurare quanto sia un traguardo importante.
Certi dettagli danno talvolta un sollievo immenso.

Stasera ho rivisto una persona a me cara, un po’ stravolta, volevo chiederle come stava, proporle di ascoltarla. Poi ho pensato che era meglio non aprire bocca. Lei ha cercato di nascondere il suo disagio, io ho tolto il disturbo, sicuro di farle cosa gradita. La vita riserva momenti difficili e  periodi in cui non ci si riconosce nemmeno davanti allo specchio. Raccontarla ad un estraneo può essere oltremodo faticoso.

Dovessi descrivere la mia vita di oggi la paragonerei a quei puzzle che si regalano ai bambini piccoli, costituiti da pochi pezzi, di grandi dimensioni , facili da assemblare.

mercoledì 18 gennaio 2012

Comandanti coraggiosi


Si fa un gran parlare di comandanti, di responsabilità, di coraggio e senso del dovere.   Le regole di chi va per mare sono poche ma solide. Hanno radici millenarie. Tradirle rasenta l’eresia e la condanna che ne deriva è totale e irreversibile.  Ma tra chi va per mare ci sono comandanti coraggiosi, ma purtroppo anche comandanti fasulli che si limitano a pavoneggiarsi  dentro alle loro divise.
Sorge il dubbio che i comandanti veri sono oramai una specie in via di estinzione.
Stessa sorte sembra condivisa dai comandanti che guidano le nostre imprese e coloro che gestiscono il potere.  Gli appartenenti a queste  due ultime categorie  sembrano ancora più squinternati e incapaci
.
Metaforicamente parlando, si ha la sensazione che spesso non sappiano cosa e, chi sia loro compito guidare. Non conoscono e non vogliono capire se siano a capo di una nave o su una motrice di un treno. L’irresponsabilità sembra l’unica “dote” riconoscibile.

E quando l’irresponsabilità non basta a bollarli per sempre, l’arroganza e la superficialità li porta a operare lontano dalle loro “navi”. A volte si arrogano la capacità o facoltà di comandare e guidare, standosene per conto loro, impartendo deliberatamente istruzioni tali da indirizzare le loro imprese verso scogli dove il destino è segnato.
Rispettare il proprio ruolo nelle organizzazioni è dimostrazione di senso del dovere, ma alla luce di tanta dabbenaggine, viene lo scrupolo etico, di infrangere le regole e organizzare un ammutinamento.
Gli stolti fanno comunque danni, anche se portano i gradi del comando, riconoscerli e isolarli è un dovere morale.

Sessanta giorni


Ottanta giorni, meglio sessanta a far qualcosa che non sia lavoro.
Ecco un buon inizio, anche se non è quello desiderato, ma  non mi lamento.
Ora si può far programmi : studiare , viaggiare, dedicare più tempo a cambiare o semplicemente riposare.  
Al resto ci pensi il tempo, il destino e la fortuna.  Mi lascerò anche andare in silenzio, come a bordo di un barca lasciata alla corrente, ascoltando e guardandomi intorno.  A bordo lo spazio non manca per chi si volesse aggregare.
Se i Maia si saranno sbagliati, l’anno prossimo potrà riproporsi un dilemma del tutto simile.
Anni di crisi.

Ricorrenze

18 Gennaio

domenica 15 gennaio 2012

Note

Oggi non è stata  una giornata facile ......

Vuoto


E’ alquanto strano osservare il paesaggio di montagna, brullo e secco come fosse uno di quegli autunni in cui la neve tarda un po’ ad arrivare.
E’ triste però,  osservare lo stesso paesaggio a Gennaio inoltrato. Si vive la netta sensazione che manchi qualcosa e che il tempo che rimane non potrà porre rimedio a questo vuoto, ormai padrone della stagione.
Ogni cosa ha il suo momento, la neve sta a gennaio come il sole pieno è padrone dell’estate.

Poi se si corre un po' di più in macchina e ci si inerpica tra le montagne, si trovano piste fatte di neve finissima, appena uscita dal cannone che la genera artificialmente.
Sotto gli sci appare dura e compatta e scivolare sembra anche più facile. Di fianco, pochi metri più in la, la neve non c’è più e il prato brullo riporta alla realtà.
Forse fare troppo i pignoli non serve. Di occasioni per sciare da qui a fine inverno ce ne saranno poche o addirittura nessuna.

Ho messo gli sci ma, poi, senza convinzione ho preferito stare tranquillo a guardare, non per pignoleria e nemmeno per una  forma di snobismo.
Quel senso di vuoto iniziale, mi aveva creato un’inquietudine, che nemmeno ora che sto scrivendo, mi ha ancora abbandonato.

venerdì 13 gennaio 2012

Sogno


Il campanello di casa, muto da sempre, ha appena rotto quel silenzio assoluto, riempendo le stanze di casa fino negli angoli più nascosti. Impossibile non sentirlo, impossibile non svegliarsi. Il cuore si è svegliato di soprassalto scuotendomi come una madre quando sveglia un figlio che deve andare a scuola.
Apro gli occhi, recupero lo spazio e il tempo. Mi riaggancio al filo della mia vita, dal quale la sera spesso cerco di staccarmi, appoggiando la testa sul cuscino.
La luce riaccende gli occhi e la stanza. Le ciabatte sono la, dove sempre, facili da ritrovare.

Non so quanto tempo sia passato da quel suono inaspettato. Chissà se arriverò in tempo ad aprire. Percorro la casa con il solito passo da estraneo. Sarà anche facile cambiare casa, ma non è per niente facile farla propria e familiare. Cerco e ritrovo, annaspando goffamente, via via gli interruttori. Infine la luce rischiara l’ampia stanza di ingresso.
Il riverbero del buio che sta appena fuori, penetra tra le veneziane che chiudono la vetrata. Strisce di buio si intervallano al verde delle lamelle. Strano non ci sono luci che spigolano tra le fessure. Sembra che fuori ci sia l’universo.
“Dove ho messo le chiavi ?”, mi chiedo ritornando ai gesti di qualche ora prima. Poi guardo meglio. Prima di andare a letto, avevo, con cura, chiuso fino all’ultimo giro la serratura, ma non avevo estratto la chiave. Coincidenza fortuita.
Con la mano tremante di chi ha fretta, rigiro le chiavi. La porta si apre con facilità. Alzo lo sguardo verso il cancello, là da dove deve arrivare il segnale. Non vedo altro che buio, forse i miei occhi sono ancora abbagliati dalla luce delle stanze.
Esco, entrando pure io in quel buio, ed è come se percepissi le mie pupille dilatarsi a carpire il flebile chiarore residuo. Ora qualcosa si delinea lentamente, come se la nebbia si diradasse.
La luce della carrozzeria di fronte è spenta, anche il termometro non si intervalla più con l’orologio.
Il silenzio appare più profondo. Chissà perché, ma quella luce intermittente ricordava il ticchettio di un interruttore. Buio e silenzio, accoppiata di neri,  che impedisce qualsiasi prospettiva.
Mi guardo intorno cercando contorni familiari. Tutto inutile, tranne che per le sagome dei due grossi pilastri del cancello. Punto lo sguardo, come a mirare un bersaglio, mettendo a fuoco quel poco di definito che mi si presenta davanti.
Poi dietro le sbarre, che so essere arrugginite, comincio ad intravvedere un’ombra. Sembra un corpo di donna, che con la mano manda un lento saluto.
Non riesco a spiaccicare una parola, nemmeno un consueto : “Chi è ?”.
Sono come ipnotizzato da quel saluto che non so distinguere se essere un segno di addio o una richiesta di attenzione.

La situazione mi angoscia e la paura mi blocca, come preferissi non sapere.

Apro gli occhi. Noto il chiarore verde del cellulare che sta sul comodino.
Mi chiedo : “Ma non stavo fuori poco fa ?”.
Realizzo la realtà, sospirando, rallegrandomi di non aver identificato ne la donna ne il saluto del sogno. A dirla tutta non riuscirei a sopportare un altro addio.

giovedì 12 gennaio 2012

Check up e ritorno


Sono tornato dalla visita cardiologica un po’ più rasserenato.
Una medicina in meno, un dosaggio dimezzato e una affermazione del dottore rassicurante :
“Dopotutto questi sono dosaggi pediatrici”.
Solo sulla cardioaspirina non ha avuto dubbi.
"Questa vale per i prossimi 40 anni ", ha detto, rimettendo le cose al loro posto. 
Anche i controlli si sono diradati.  Dopo un prossimo controllo sotto sforzo, potranno passare due anni per ritornare a  rifare l’ecocardiografia. Mi basterà seguire il ritmo del rinnovo della patente per poter rispettare quanto prescritto.
Unica punto di attenzione : l’Omocisteina, che tenderebbe sempre ad essere al di sopra dei valori normali. Va riportata entro limiti di sicurezza con dieta e qualche aiuto di Acido Folico.
Senza il defibrillatore oggi starei scivolando verso una normalità quasi totale.
L’ICD fa del mio cuore un enigma, “ potrebbe ancora fermarsi”, oppure lo considero come quelle foto magnetiche che si attaccavano sui cruscotti metallici delle macchine di un tempo.
E’ come se ci fosse scritto : “Massimo, ricordati di non correre !”

martedì 10 gennaio 2012

Check up


Oggi giorno di controllo al cuore. La definirei “manutenzione preventiva”, anche con l’obiettivo di prevedere verifiche aggiuntive quali un Elettrocardiogramma sotto sforzo o altro ancora .

Mi stavo chiedendo ieri sera preparando le carte per il Cardiologo :

“Ogni quanto tempo devo rifare una coronografia ?”
“I sei tipi di medicine che oggi prendo, le devo mantenere in eterno ?”

Intanto per non arrivare troppo preparato negli ultimi due giorni non mi sono risparmiato come facevo una volta quando durante il controllo Holter, rimanevo praticamente immobile per 24 ore.
Domenica mi sono fatto 14 chilometri di corsa al freddo e ieri sera mi sono ritagliato una bella serata di ansia, attesa e agitazione.

Insomma, mica voglio rendermi la vita facile !

domenica 8 gennaio 2012

La corsa alla separazione

Stamattina faceva meno quattro sul termometro della carrozzeria davanti a casa mia e a stare seduto sul ponte ad aspettare mio figlio, nulla mi faceva desiderare una corsa mattutina.
Ma le cose, quando si mettono in moto, spesso avanzano da sole e, se non si oppone nessuna  resistenza si arriva comunque alla meta, buona o cattiva che sia.

Pensando, rannicchiato dentro la giacca a vento, a questi meccanismi ineluttabili, trovai delle analogie, con il modo con cui sono arrivato a separarmi da mia moglie.

Inizialmente avviai la richiesta, come una sfida nei suoi confronti, pensando che questo potesse portarci a parlare e a trovare una soluzione. Quel meccanismo, quella sfida, una volta innescato, proseguì da solo e non ci fermammo mai a parlare e discutere sull’opportunità di fermarlo. Solo la mia malattia, determinò un rallentamento, ma poi, le continue incomprensioni, ci portarono a firmare davanti all’avvocato. Quella sera di Febbraio, solamente durante i due chilometri che stanno tra casa e lo studio dell’avvocato, mia moglie mi lesse e consegnò, un biglietto scritto a mano, che conservo ancora. Non capii, lessi e rilessi quelle righe frettolosamente scritte. Poi il 28 maggio del 2010 firmammo i documenti della separazione davanti al giudice, presso il tribunale di Venezia. Vivemmo quella giornata come una gita, finalmente liberi dai figli, solo noi due. Il paradosso continuò prima di entrare dal giudice quando ci chiedemmo : “Ma perchè siamo qui?”, ma, ancora, senza fermarci a pensare,  andammo davanti al giudice firmando senza l’apparente ombra del dubbio.

Per me fu un momento dolorosissimo che curai per molti mesi prima di poterlo accettare.
Quel giorno la gita continuò, passeggiando per Venezia, facendoci delle fotografie e pranzando come due fidanzati in un  ristorante lungo le calli. Tornammo nel pomeriggio con calma.
Oggi viviamo da separati e non ci siamo mai più ritrovati a parlare o a passeggiare come quel giorno a Venezia, tra meno di diciotto mesi potremmo divorziare.
Stamattina è successo una cosa simile. Dopo pochi chilometri mi sono ritrovato a Maerne, un paese poco lontano, in mezzo a altri podisti intirizziti.
Preso coraggio e uscito dalla macchina, mi preparai e, solo in quel momento realizzai che di li a poco mi sarei messo a correre.
La corsa, che prevedeva premi per i vincitori di categoria, aveva catalizzato l’attenzione di molti dei più forti podisti della zona.
Come al solito, pur senza allenamento, decisi di affrontare i 14 chilometri del percorso medio. Ben presto il freddo si volatilizzò e correre diventò veramente un piacere.
Dopo qualche chilometro decisi di seguire il passo di una ragazza che aveva un’andatura simile alla mia . Le dissi dopo un pò, centellinando il fiato : “Non ti dispiace se ti uso come Pace Maker ?”. La ragazza rispose gentile e così continuai a seguirla per qualche chilometro.
Durante quei chilometri, guidato da quel gentile Pace Maker e continuamente monitorato dall’ICD che mi porto addosso, mi sono sentito veramente attrezzato dal punto di vista Cardiologico.
Peccato che avessi dimenticato il cardio-frequenzimetro a casa, altrimenti potevo considerarmi una macchina perfetta.

sabato 7 gennaio 2012

L'abitudine alle medicine


Qualche anno fa, non prendevo una pastiglia, nemmeno quelle rare volte che avevo il mal di testa.
Aspettavo sera, sapendo che, dopo una buona dormita il mattino dopo mi sarei risvegliato come nuovo. Pensavo di essere una macchina perfetta e l’aver sempre tenuto fede alle tre regole : non bere , non fumare e fare molto sport, fosse la garanzia per avere un fisico perfettamente efficiente.
L’aver messo su qualche chilo, dopo aver chiuso con le maratone, non mi preoccupava più di tanto. Mi sentivo goffo ma, dentro di me, mi ripromettevo di ricominciare a correre e a dimagrire.

Il dimagrimento avvenne nei primi mesi del 2009, quando uscito di casa, affrontai forse il periodo più duro della mia vita. Mangiare, durante quei giorni, non era la cosa più importante e credo di aver perso 10 chili in meno di 2 mesi. Poi mi stabilizzai e il resto della dieta prosegui quando il cuore inciampò.
Uscito dall’ospedale il 3 settembre 2009 pesavo 70 chilogrammi, mentre all’inizio dello stesso anno ne pesavo 87. Insomma una dieta estremamente efficace.

Ma con i problemi di cuore, cambiò il mio rapporto con le medicine. Ne avevo sette diversi tipi da prendere nel corso della giornata. Accettai anche questo nuovo aspetto della mia nuova condizione, stravolgendo ciò che era il mio approccio con le medicine.
Quelle che sono costretto a prendere mi fanno bene e mi sono necessarie per continuare a vivere. Mi sembra una motivazione sufficientemente importante.
Ho sempre rispettato le dosi, programmando alla sera le medicine da prendere il giorno successivo. Ho dimenticato poche volte l’appuntamento con le mie pastiglie e con il tempo ne ho fatto l’abitudine anche grazie al fatto che non mi danno grosse controindicazioni.

La cosa è diventata talmente abitudinaria da svolgersi talvolta in modo quasi automatico. Spesso succede, soprattutto quando a casa non utilizzo il normale dosatore, di chiedermi di aver preso o no la medicina. Nel dubbio le prime volte evitavo di riprenderle. Ultimamente, anche pensando a quante in questi ultimi anni ne ho ingerite, mi capita di non badare al fatto di raddoppiare la dose.
Meglio una medicina in più che una meno. 

Volevo ripartire.....

Volevo ripartire da un altro blog. Volevo ripartire anonimo e scrivere per il gusto di scrivere, accettando di essere commentato per quello che scrivevo e non per quello che ero o che ero stato.
Insomma volevo essere sconosciuto e scrivere per sconosciuti.
Il 25-agosto-2009 era stato anche un modo per raccontarmi, dove riportare ricordi, dove ho cercato in questi anni di descrivere come stavo cambiando, mentre cercavo di guarire i due cuori malati che mi ritrovo a curare.
E’ stato un modo per parlare alle persone che mi conoscevano, che mi volevano bene, che mi sono state vicine in questi anni. Senza il loro aiuto ne sarei uscito diversamente, forse con più fatica e dolore.
Alcune di queste persone mi hanno letto con assiduità, altre non lo hanno mai fatto, ma per questo non hanno perso la stima e l’affetto che provo per loro.  Ho ricevuto molti commenti, spesso critici su quello che scrivevo. Qualcuno mi ha detto che ero ambiguo, altri che scrivevo cose non vere. Infine mi è stato detto di pubblicare cose e fatti senza il consenso delle persone interessate.
Avevo inserito la mia posizione, tracciata in tempo reale da Latitude, per dimostrare, a quelli che mi conoscono, che era mia intenzione uscire dal mondo delle bugie che aveva caratterizzato un certo periodo della mia vita. Disintossicarsi da questo vizio non è facile, ma vivere con il terrore di vedere improvvisamente crollare il castello di bugie di una vita sbagliata è tremendo.
Poi ho avuto la sensazione che anche questo venisse strumentalizzato, che fosse utile conoscere dov’ero e ho cancellato l’icona, ma a dir la verità riapparirà e ognuno ne farà quello che meglio crede. Perché devo cambiare io per ciò che fanno gli altri ?

Avevo scritto tutto ciò anche per i miei figli. Il più grande non ha mai letto niente, forse temendo altro dolore, oltre a quello che già viveva per ciò che stava succedendo alla nostra famiglia.
Ho scritto anche per il più piccolo. Sta solo ora imparando a leggere e spero che un giorno possa leggere e capire quello che ho vissuto.
Ho scritto anche per la mia ex moglie, colei che per coincidenza o per caso, ma soprattutto perché era mia moglie, ha permesso questa mia seconda vita. La sua presenza è stata la scintilla che ha permesso tutto il resto. Non so quanto nel mio inconscio pesi tutto ciò.
Ho scritto anche per molta gente sconosciuta che mi ha letto, chi occasionalmente chi con costanza.

Scrivere mi ha permesso di pensare piano, di ascoltare ciò che mi circondava, di scovare ricordi e sensazioni che credevo perduti.  L’appuntamento con il blog mi ha calmato. Ho passato molte serate a sistemare pezzi scritti prima di getto, poi rifiniti con puntiglio analizzando tutte le imperfezioni. Non mi sono mai dedicato a un tema specifico, anche se il tema del cuore era la linea guida iniziale che intendevo seguire.
Poi ho scritto un po’ di tutto, dalla corsa, alla tecnologia e in ultima a cose di psicologia, materia a cui mi sono avvicinato recentemente.

Da qualche tempo, altri impegni presi hanno un po’ diradato gli scritti e devo dire che un po’ è peggiorata la mia vita, nonostante passi le serate la leggere e studiare.
Scrivere a mente libera sembra abbia per me proprietà terapeutiche migliori di qualsiasi altra attività o, semplicemente, fare ciò che piace fa bene.

In questi anni la mia vita è cambiata, migliorata anche se contro alcune difficoltà continuo a scontrarmi regolarmente.
Come molte volte ho avuto modo di scrivere, è la parte affettiva, il cuore che considero più malato, a darmi ancora dei pensieri.

Io che con la mia “fuga” credevo di potermi ricostruire un’altra vita con un’altra persona, mi sono accorto che non tutto è facile e di certo ho capito, che la seconda vita non avrebbe mai potuto cancellare quella precedente. Poteva solo essere diversa, forse migliore, forse peggiore.
Oggi non riesco a concepire una nuova vita, almeno con le stesse caratteristiche di quella che ho vissuto,  anche se sono passati alcuni anni costellati da mille difficoltà e vicissitudini.
In fondo ora, mi sento bene, felice di avere almeno capito questo e da questo voglio ripartire.
Come andrà e con chi ripartirò non lo so, ma non ho fretta e ho bisogno di un po’ di fiducia.

Oggi mi sento tenuto a distanza, sembra che tutta questa mia volontà di cambiare abbia prodotto solo distacco e questa è una cosa che devo risolvere io. Di certo ho continuato a sbagliare e penso sia giusto porre rimedio.
Se riceverò giustificazioni del tipo :
“Non ti rispondo per non farti del male e creare aspettative", vedrò di non scrivere più e dimenticare le aspettative.

Forse sarò una persona sbagliata, incapace di cambiare, ma in tutto ciò che mi è successo e che ho fatto succedere, c’è una cosa che mi addolora più di tutto :
“Aver distrutto la mia famiglia, provocando a tutti coloro che sono stati coinvolti in questa vicenda un dolore che difficilmente riusciranno a cancellare”.

Chiedo perdono a tutti.

Massimo

giovedì 5 gennaio 2012

Piroea Paroea


Grazie .......

.....  a tutti coloro che mi hanno seguito, letto e qualche volta commentato e consigliato.

Mi fermo qui.
Scrivere ma soprattutto pensare per scrivere è stata un'esperienza bellissima che consiglio a tutti.

Qualcuno di coloro che mi hanno letto con assiduità mi conoscevano di persona.
Un grazie particolare per la loro costanza e pazienza.

Un abbraccio e un arrivederci a tutti.

Grazie ancora.

Massimo

A Paolo

Ancora oggi, che sono passati 4 anni da quel 4 Gennaio 2008, mi ritrovo a pensarti.
E mi aspetto, come se fosse li li per accadere, di vederti arrivare, come niente fosse accaduto, con il tuo procedere un pò ciondolante e la sacca a tracolla, chiedendo :
"Dov'è il mio posto ?"

Dedicato a....


.... che mi stai vicino ma a debita distanza
.... che apprezzi un regalo ma non lo accetti
.... a cui  manca sempre un pezzo del puzzle
.... a cui non basta mai ciò che faccio
.... che non riesci a cancellare il passato
.... che qualche volta mi racconti delle bugie, ma lo capisco e non mi arrabbio
.... che dimentichi le date importanti per me
.... che un tempo mi accompagnavi mentre oggi mi eviti
.... che il lavoro ti prende sempre troppo
.... che qualche volta  mi dai degli ottimi consigli
.... che ho sempre invidiato nel vederti "divorare" i libri
.... che rimani ferma nel tuo "No"
.... che vorresti ti considerassi solo un'amica
.... che cambi volutamente discorso
.... che sei molto brava anche nelle difficoltà
.... che non accetti un mio invito 

Mattina presto


L’inizio di un viaggio, per chi resta è sempre una sorta di distacco. L’inizio di una nuova esperienza per una persona che ci è vicino e a cui vogliamo bene è, al tempo stesso fonte di gioia, ma anche consapevolezza di un rapporto che non potrà mai più essere come prima.
Ma i cambiamenti vanno sempre cavalcati come una sorta di occasione da esplorare, spesso ricca di soprese e opportunità inimmaginabili.

Le difficolta sul lavoro, e di questi tempi non mancano di certo, sono la conseguenza di un cambiamento globale inevitabile , di cui noi ci sentiamo vittime inermi, vedendo in discussione ciò che non avremo mai ipotizzato.
In un  mondo, come quello del lavoro, regolato da leggi e regole ferree, molti di noi vivono piccole e grandi violenze, spesso subdole, striscianti che mirano ad indebolire chi le subisce.
Spesso si tratta di disconoscimenti continui, altre volte sminuendo un risultato importante si evita di premiare le persone aumentandone le frustrazione.
Psicologicamente si viene messi nella condizione di non poter rivendicare niente, adducendo motivazioni del tipo : “ Ringrazia che riesci ancora a conservare il posto di lavoro “.
Ci sono modi e relazioni più costruttive per responsabilizzare i membri di un’azienda e, proprio il mancato coinvolgimento di tutti è spesso la causa dei fallimenti. I manager, quando vogliono comportarsi come dei grandi burattinai, limitandosi a muovere i file dall’alto, sono  destinati al personale fallimento oltre che a mettere in difficoltà l’azienda per cui operano.

I cambiamenti  della vita, sono spesso ancora più dolorosi  e difficili da accettare. Ritornare indietro è comunque impossibile e il procedere in vanti è l’unica scelta che ci è permessa.
Vedere persone a noi care, allontanarsi inesorabilmente è molto simile a ciò che succede nel seguire una nave che si allontana dal porto.
Inizialmente la mole imponente non ci fa percepire la lontananza e l’allontanamento. Poi, progressivamente, i suoni si attutiscono, il mare ritorna un biliardo e la sagoma rimpicciolisce diventando sempre meno nitida.
Alla fine l’orizzonte lontano inghiotte quel che rimane di ciò che a noi prima sembrava imponente e, sconsolati, volgendo lo sguardo, ritorniamo alle nostra vita.

Anch’io, di questi tempi ho visto sparire dietro l’orizzonte persone che mi erano care, so che non ritorneranno mai più.
A fatica ho ripreso la mia strada, senza più aguzzare lo sguardo verso quell’orizzonte lontano.

martedì 3 gennaio 2012

2012 - C'è qualcosa di nuovo ?


L’anno nuovo è arrivato, è questa la novità.
Anno nuovo, vecchi problemi, vecchie incompresioni. Il nuovo anno non ha portato niente di nuovo. Forse il calendario è l’unico oggetto ad essersi rinnovato.
Il resto è passato indenne atrraverso la notte di San Silvestro, attraverso il muro del trapasso temporale. Nulla è andato perduto purtroppo,e nemmeno niente si è dissolto o trasformato in meglio.
Da giovane pensavo che ad ogni Capodanno dovesse scoccare un amore. Di quei Capodanni, prima di fidanzarmi, ne ricordo solo uno, passato a letto con la febbre a 40, gli altri sono in una parte della memoria irraggiungibile.
Quest’anno è andata meglio dell’anno scorso. Aver aspettato il nuovo anno con mio figlio mi ha reso felice. Ho pure sparato i botti, cosa che ho sempre snobbato.
Invecchiando faccio cose che da giovane non facevo, a quei tempi ero tutto indaffarato a  farmi vedere una persona perbene. Allora per me il mondo era sempre diviso in due : o bianco o nero, quello che piaceva a me e quello che non piaceva a me.
Ora distinguo anche le gradazioni intermedie dei colori e devo dire che certe tonalità sono più belle di quanto pensassi.
L’importante è dare una chance a tutto e nel caso scegliere dopo.
Oggi mi piace sedermi alla destra del guidatore o della guidatrice e farmi portare, guardandomi intorno senza pensare, affidandomi in tutto e per tutto all’estro di chi sta al volante.
Un tempo se non guidavo io mi annoiavo, ora sedere dietro non è un sentirsi dimenticato ma dare spazio anche agli altri.
Viaggiare a casaccio in macchina di sera è uno dei miei passatempi preferiti, uno dei modi migliori per confidarsi.Il resto dell'anno passerà, sperando di arrivare in fondo come già è avvenuto per 54 volte.
Intanto : “Domani è un altro giorno !”.

Buon Anno a Tutti !