giovedì 20 dicembre 2012

IPOD Playlist

.....
Dammi solo un minuto
un soffio di fiato
un attimo ancora
stare insieme è finito
abbiamo capito
ma dirselo è dura
svegliati svegliami dai......

Dammi solo un minuto - Pooh


lunedì 17 dicembre 2012

Note di Matematica


Mio figlio lo chiama “cambio”, io lo chiamavo “riporto”.  Si tratta di quella tecnica che permette agli alunni la gestione  delle somme che superano il nove in decine. Cercando in Internet le due parole sono tutt'oggi riconosciute e non c’è stata l’obsolescenza di una a favore dell’altra.
Così  ieri sera, mentre mio figlio era alle prese con 12 addizioni di questo tipo, ho osservato sia il metodo che la rappresentazione di ciò che stava facendo.
Ho apprezzato la simbologia, l’uso dei colori e la tecnica. Alle decine era associato il rosso mentre le unità stavano accoppiate con il blu. L’associazione era chiara e mai disattesa.  
L’associazione del colore con un concetto facilita l’apprendimento.
Come i colori erano rigidi anche i due schemi, il primo fatto di palline infilate su due assi diversi, uno per le unita e l’altro per le decine e il secondo fatto con i numeri. Questi davano due diverse visioni dell’operazione. Il metodo simbolico era funzionale al risultato numerico. 
L’associazione di schemi e simboli a concetti aiuta a memorizzare più velocemente.
All'inizio questo metodo era per il bimbo molto laborioso e dispendioso. Troppi i cambi tra penne e colori e viceversa !
Con il passare del tempo e completando  le operazioni, le proteste si sono fatte sempre più flebili, mentre gli automatismi aumentavano.  Le righe e i quadrati venivano bene anche a mano libera. 
L’esercizio come l’allenamento affina la tecnica e aumenta l’efficienza. Funziona con le addizioni in seconda elementare come per chi si allena per la maratona.
Infine ho valutato l’atteggiamento di quel bambino che avevo svegliato molto presto al mattino e di cui, in parte, comprendevo i mugugni.  “Hai ragione!”, pensavo mentre cercavo affiancarlo nel districarsi tra i “cambi”.
Ma giunti all'ultima operazione, quando i meccanismi erano ormai assimilati, mio figlio mi disse :
“Papà, non dirmi niente, l’ultima voglio farla tutta da solo!”.
Contento per quello scatto finale, quando pensavo che le sue energie fossero finite, restai in silenzio a guardarlo mentre svolgeva correttamente l’operazione.  Concluse gli esercizi con una cornice più bella di quelle fatte fino a quel momento.
Insomma il bimbo ha carattere e voglia di imparare!

domenica 16 dicembre 2012

Tweet

Al cuore fa bene fare le scale
al cuore se non fa le scale fa bene far l'amore
Il cuore qualcosa deve fare
Altrimenti muore

Tweet di Concita De Gregorio @concitadeg

venerdì 14 dicembre 2012

Note di Natale


Ci si abitua ai sentieri ripidi, stretti e connessi. L’abitudine e la crescente destrezza ci aiuta a non temere difficoltà che un tempo ci avrebbero fatto desistere.  Si diventa sempre più resistenti  sia nello spirito che nel fisico.  Si impara ad andare avanti pronti a nuove difficoltà.
Non è raro chiedersi : “Chi me la fatto fare ?”. Ma se si inciampa in un problema è meglio imparare a come affrontarlo per evitare di inciampare la prossima volta.
Come dicono certi guru : “ Far diventare un problema una opportunità”.
I problemi sono diventati opportunità e quello che un  tempo sembrava improponibile è oggi la normalità e occasione di serenità. Spirito di adattamento, consapevolezza o rassegnazione?
Chi lo può dire ! E’ la realtà che mi circonda e  con cui devo confrontarmi in ogni momento.

Ci sono momenti in cui il cuore sembra ribellarsi. Ritorna la sensazione di spiccare il volo, vissuta qualche anno fa. Sale l’ansia che alimenta il timore che alimenta l’ansia. Il vortice sembra inarrestabile e assaporo ogni momento come se fosse l’ultimo. Non chiudo gli occhi ma resto immobile per non dare nessun alibi a quel cuore che sembra dimenticarsi di me.  Non mi muovo e  ascolto, in attesa che quell'incendio che mi sta bruciando dentro perda vigore.  Sono attimi lunghi, che sembra difficile vivere uno di seguito all'altro   Poi la fiamma comincia ad affievolirsi, l’aria sembra fluire con più facilità nei polmoni e la paura scema assieme al quel senso di leggerezza tanto inebriante quanto terribile.  Il tempo torna a scorrere come ricordavo e il cuore torna a nascondersi tanto da diventare impercettibile.
Ho vissuto molti di questi momenti. “E’ solo stress!”, mi sono detto, ma queste situazioni sono diventate palestra per l’autocontrollo e campanello di allarme.  Momenti difficili che insegnano qualcosa.

Tra dieci giorni è Natale. Da qualche anno ogni Natale è diverso. Rimane comunque un giorno particolare, oserei dire, un momento difficile. La memoria e i ricordi si incrociano con il presente. Ci sto scomodo come se indossassi un vestito diventato stretto e di qualche taglia di troppo.  
Mi sento come quando, durante una passeggiata in montagna, ci si trova di fronte a un torrente ingrossato da un recente temporale. La strada sembra sbarrata e proseguire sembra impossibile. Poi, passati i primi istanti di sgomento, si intravedono degli appoggi possibili. Alcuni grossi massi sembrano li apposta per aiutarci.  Pochi, difficili, da affrontare con attenzione, per non scivolare ed essere travolto.
Con balzi precisi, fatti con il cuore in gola, si raggiunge l’altra sponda pronti a proseguire il sentiero, meditando una strada diversa per il ritorno.
Ecco il Natale è per me un attraversamento,  da fare un po’ con il cuore in gola, prestando attenzione a non scivolare nei pochi appoggi disponibili, per non farmi portare via dalla corrente dei ricordi.

giovedì 6 dicembre 2012

Questioni di cuore

"..... La causa dello scompenso cardiaco sta nell'incapacità delle cellule del cuore, una volta diventate adulte, di moltiplicarsi e rimpiazzare quelle uccise, ad esempio da un infarto. Le sopravvissute sono costrette a ingrossarsi per compensare la forza mancante nel muscolo cardiaco. Vanno così incontro a squilibri metabolici che lentamente le uccidono, indebolendo ancor di più il cuore e innescando un circolo vizioso che lo porta allo sfiancamento. "

Tratto da un articolo apparso su Repubblica il 5 dicembre 2012

mercoledì 5 dicembre 2012

Pensiero


Entravo a casa di mio padre contro voglia, spesso ancora con il pigiama addosso.
Quando mi veniva a prendere nei fine settimana che dovevo passare con lui, facevo spesso storie. Avrei preferito stare a casa mia, con i miei giocattoli, con i miei cani e con quelle strane costruzioni che amavo fare con sedie, cuscini e coperte. Quest’ultime erano la mia passione. Di solito erano fatte con due sedie su cui stendevo una coperta. Sembravano delle capanne, dentro alle quali trovavano riparo i miei pupazzi di peluche.
Mio padre non aveva tutto ciò. Solo con il tempo, con l’arrivo di una coperta e un telo copri divano, cominciai pure da lui a costruire quelle improbabili casupole.
Anche i giocattoli mancavano.  A dir la verità, i giocattoli che lui mi comprava, facendomi promettere che li avrei lasciati da lui, me li sono quasi sempre portati a casa, quando tornavo la sera. Casa sua non era casa mia. Non ci stavo volentieri a mangiare e tanto meno a dormire. Mi raccontava che quelle poche volte che avevo dormito là, lo avevo fatto controvoglia, cedendo al sonno a tarda ora, mentre aspettavo mia madre. Con il tempo ho cominciato a sentirmi a mio agio, in quell'appartamento al piano terra, soprattutto da quando iniziai le scuole elementari e passavo là due  pomeriggi alla settimana. Ero affidato a una ragazza che mi veniva a prendere a scuola aiutandomi a fare i compiti.
Anche con lei, passati i primi tempi di affiatamento cominciai a fare qualche capriccio.
Stava con me fino alle sette, quando o tornava mio padre e passava mia madre  a prendermi.
Volevo fare di testa mia e, sin da piccolo, ero caparbio e poco propenso ad ascoltare gli altri. Ero indispettito per come gli adulti potevano decidere su quello che dovevo fare, senza la minima considerazione per le mie idee e dei miei desideri.
La regola dei genitori alterni, durante i fine settimana, fu difficile da digerire per i motivi appena detti. Non ricordo mio padre quando viveva ancora a casa, tanto che per farmene una ragione, gli ho chiesto spesso di raccontarmi com'era la vita in quegli anni.
I miei, mio padre e mia madre, dopo la separazione, cercarono con fatica  di tornare a fare i genitori, ma forse in questo modo hanno impedito a me di essere un figlio vero.
Con mio padre passavo i fine settimana in modo tranquillo. I primi tempi facevamo gite nei dintorni. Qualche volta si stava via anche per due giorni. Si partiva al sabato per tornare la domenica pomeriggio. All'inizio di ogni viaggio protestavo, quasi impaurito nel lasciare luoghi noti, ma al ritorno, ero contento e, pian piano, viaggiare è diventato un piacere che ancor oggi non ho abbandonato. 
Non mi ha ma lasciato in quegli anni la paura, l’ansia, di rivivere tensioni e litigi. Ricordo il pianto e il terrore che provavo quando vedevo i miei litigare. Spesso, quando si incontravano, cercavo di attirare l’attenzione su di me, perché non litigassero, come se fossi un parafulmine.
Con il tempo io mi sono abituato alla regola dei genitori alternati . Mio padre e mia madre si sono sempre più allontanati. Entrambi hanno avuto la possibilità di ricostruirsi una vita con altre persone. Non mi è stato difficile accettare le nuove situazioni e i nuovi compagni, anche se per anni mi sono chiesto come sarebbe stata a mia famiglia e fosse rimasta unita.
Non ho avuto mai una famiglia unita e, quando oggi esco con mia moglie e i due miei figli, penso alle poche volte in cui sono uscito con mia madre e ,mio padre. Io stavo appiccicato a mia madre, come se la volessi proteggere da quell'uomo con cui spesso litigava. E’ andata così, io sono cresciuto con la speranza di vedere i miei genitori tornare assieme. Ma la speranza di quand'ero piccolo si è andata sempre più affievolendosi come una candela che con il tempo si consuma. Ora, quando li vedo, mi chiedo cosa pensino e quale verità abbiano portato con se durante questi anni. Mi piacerebbe sapere quanto siano stati felici dopo la separazione e se ci siano delle cose di cui desiderino parlarmi. 
“Hai qualcosa da dirmi ?”, vorrei chiedere ad entrambi ma, quando sto per aprire bocca, mi blocca ancora quel senso di paura che provavo quando litigavano, come se ricordare riaprisse ferite mai guarite e che mai guariranno.

sabato 1 dicembre 2012

Note


Stasera sono  a Martina Franca. Sceso al sud per la fiera del Cavallo Murgese e dell’asino di Martina Franca. Chi l’avrebbe mai detto! 
Un mese fa, l’immaginarmi da queste parti non sarebbe stato tra le cose possibili o plausibili. Come se avessi voluto scommettere, anni fa, di mettermi a studiare Psicologia dopo una vita a mettere in ordine bit e byte. Insomma a far programmi e strategie spesso si fallisce. Eppure ....
A voler controllare tutto e tutti si spendono energie da usare per ben altro. 
A voler programmare ogni attimo della nostra vita si rischia di  rivedere in continuazione piani e progetti, perdendo quanto ci sta passando sotto gli occhi.
Le mie speranze e progetti di qualche mese fa erano lontane miglia e miglia dalla realtà di oggi. 
Avevo qualcosa da dire a qualcuno ……

Il buio da queste parti sembra più buio di quanto conoscessi. La sera sembra non esserci e la notte è l’unica alternativa al giorno. Strade buie ti fanno sentire smarrito e, percorrendo vie quasi deserte, si viene presi da un filo di smarrimento, simile alla paura del buio che vivevo nella camera scura da bambino. 
Si va alla ricerca dei luoghi cercando tra le rare luci visibili. Raccordare le luci con i percorsi per raggiungerle è impresa difficile per chi, come me, è forestiero e un po’ impacciato in un ambiente sconosciuto.

Ci tenevo a vivere il primo volo con mio figlio. 
Penso a chi  ha risposto : 
“ Mì no, no’ vegno !”. Ci saranno altre prime volte ….  
Abbiamo evitato la parola paura e il bimbo ha vissuto l’esperienza tutto  preso da curiosità e entusiasmo. Ho registrato con cura l’intero viaggio, cose inutili comprese. Un giorno spero possa apprezzare suoni e parole della sua infanzia.

domenica 25 novembre 2012

Connettività a Banda Larga

Esempio di connettività a Banda Larga.
Tutto ad altezza uomo, per facilitare la manutenzione

mercoledì 21 novembre 2012

No' ghe xe gnanca el can

Mappe Mentali


Quello seduto vicino a me, armeggiava  con l’IPAD come ormai è consuetudine in molti meeting.  Alcuni, durante le presentazioni, spesso usano il Tablet,  come fotocamera per fissare lo schermo dove vengono visualizzate le diapositive PowerPoint.
Ma diversamente dagli altri, che spesso passano il tempo a guardare la posta o a prendere appunti,  la persona che mi sedeva vicino faceva strani disegni e schemi.
La cosa mi incuriosì e così, sbirciando di tanto in tanto, capii che quei disegni altro non erano che Mappe Mentali.
La materia non mi era nuova, da qualche tempo stavo cercando informazioni in merito, sia in Internet che in libreria, per provare questo metodo di esporre e annotare i concetti.
L’idea di esplorare le Mappe Mentale nasce dalla necessità rendere più efficiente l’apprendimento e lo studio, dovendo fare i conti con il poco tempo a disposizione.
Dopo un po’, approfittando di un momento di pausa, non mancai di chiedere informazioni. Il signore mi illustrò in pochi minuti le potenzialità del metodo e anche la facilità d’uso degli strumenti disponibili su Tablet.
In internet ho trovato un Blog che mi sembra interessante. mappe mentali

lunedì 19 novembre 2012

Dialogo


“ Buongiorno. Ho bisogno di fare un bonifico.” , dissi ancora prima di accomodarmi di fronte allo sportello.
La commessa intenta a parlare con l’altro collega della piccola filiale di banca,  mi guardava con una sorta di ansia tipica di chi sta aspettando qualcosa o qualcuno.
 Pensai che, in quella piccola filiale di banca, non dovevano essere molti i clienti e passare il tempo poteva diventare alquanto difficile.  Il numero del mio conto corrente, 457, in parte lo stava a confermare .
Mentre mi stavo sedendo, la signorina mi aveva già chiesto nome  e cognome  e già che lo ricordavo le passai anche il numero di conto.
Lei  armeggiò sulla tastiera e in pochi secondi confermò le informazioni, numero di conto compreso.
“Devo versare questa cifra a questo beneficiario con la seguente causale”, spiegai indicando sul foglio che avevo nel frattempo appoggiato sul tavolo.
“In pratica mi vado a svuotare il conto”, aggiunsi quasi a giustificare il fatto che dopo il bonifico sarebbero rimaste poche decine di euro.
“E’ una fortuna di questi tempi poter svuotare un conto “, disse la commessa, con tono scherzoso ma seria in volto, “Vuole sapere quanto soldi ho nel mio conto ?”
Non risposi, “Meglio far cadere l’argomento “,  pensai mentre la osservavo riempire il modulo con le informazioni che trovava  nel foglio.
“Ieri avevo cercato di fare il bonifico via Internet, ma il sito non funzionava”, dissi cercando una spiegazione alle difficoltà che il giorno prima avevo incontrato, cercando di usare il sito Internet.
La ragazza, ancora tutta intenta a compilare il modulo, alzò gli occhi e fu lesta a darmi la risposta, quasi mormorando le parole, appiccicandole il più possibile.
Mi ricordava la situazione di quando a scuola, non sapendo una risposta, si cercava di evitare la scena muta biascicando qualcosa di quasi incomprensibile.
Non  capii immediatamente ma mentalmente, rilessi la frase appena percepita e solo al secondo giro riuscii a decifrarla :
“Si è vero, succede, forse era colpa del tempo”, aveva un attimo prima detto la commessa.
Non replicai, ma pensai tra me e me : “ Che fosse colpa dell’umidità?”.

venerdì 16 novembre 2012

Ordine Pubblico


L'ordine pubblico è quell'insieme di norme fondamentali dell'ordinamento giuridico riguardante i principi etici e politici la cui osservanza ed attuazione è ritenuta indispensabile per l'esistenza di tale ordinamento.”
Questa è la prima riga della definizione che si trova su Wikipedia, che poi continua con una spiegazione molto accurata.
Si parla di ordine pubblico, ad esempio, ogni qualvolta una manifestazione esce dai binari della normale protesta democratica, sfociando in scontri e violenze. Le manifestazioni di protesta di questa settimana, che in alcune città sono state caratterizzate da violenti scontri con la polizia, sono state l’occasione per aprire discussioni e confronti sulla violenza e sulle misure per fronteggiarla. Purtroppo la violenza di pochi porta  spesso a offuscare le valide motivazioni della protesta.
La violenza è sempre un comportamento da condannare, quando in un paese democratico c’è la libertà di manifestare a favore o contro l’operato dei governi. Spesso l’imponenza di certe manifestazioni ha indotto azioni correttive riguardo a leggi che apparivano oltremodo impopolari. Manifestare è un diritto, mentre la violenza è un sopruso mai giustificabile.
Ma ritornando alla definizione di Wikipedia, il concetto di Ordine Pubblico sembra essere ben più ampio ma pure sul significato di violenza vorrei fare delle considerazioni.
Tutti contribuiamo all’ordine pubblico perché seguiamo “principi etici e politici” dettati dall’ordinamento giuridico. Chi non si attiene a queste regole va in qualche maniera perseguito. La polizia si preoccupa di garantire la sicurezza dei cittadini reprimendo e isolando i violenti. Così accade o dovrebbe accadere anche nelle manifestazioni. La realtà a volte è diversa e le discussioni e le  testimonianze di questi giorni riportano nuovamente a galla la questione : appare difficile isolare i violenti dai normali cittadini e, per questo motivo, quest’ultimi vengono confusi con i primi.
Penso sia corretto condannare la violenza ma è altrettanto corretto usare le giuste contromisure.
Ma veniamo al discorso relativo alla violenza. Tutti noi riconosciamo il concetto di violenza legato a azioni che ledano, anche fisicamente, la libertà e l’incolumità dei singoli cittadini. Quindi quando vediamo atti di violenza la condanna è immediata e anche le misure atte a reprimerli scattano il più delle volte in tempi brevissimi.
Ma non sempre la violenza è palese condannabile e immediatamente reprimibile. Mi riferisco all’imbarbarimento etico politico che ha portato a vivere la crisi che ha fatto nascere le proteste di questa settimana nelle città di tutta Europa.
Limitandoci al nostro paese e alle notizie di mala politica, cattive amministrazioni e uso privato di risorse pubbliche mi viene naturale classificare tutti questi atti nella categoria degli atti violenti. Anzi lo sperpero di milioni di euro da parte di politici e amministratori, va a limitare e incidere sulla libertà dei singoli cittadini, oserei dire, in modo analogo a chi con una spranga spacca una vetrina.
Pensiamo a come una corretta amministrazione del bene pubblico potrebbe garantire una scuola che dia un futuro ai nostri figli, una ricerca capace di rinnovare il tessuto produttivo del nostro paese oltre che una gamma di servizi nel segno della solidarietà verso chi è meno fortunato.
Sono inaccettabili errori di bilancio di milioni di euro, quando ciascuno di noi spesso deve fare i conti con il singolo euro. Questa è una violenza e una mancanza di rispetto che non deve essere accettata a tutti i livelli, partendo dai più piccoli enti locali passando per i partiti (dove chissà perché regna l’approssimazione), sino ad arrivare ai livelli più alti dello stato.
Quindi perseguiamo i violenti, quelli che rovinano le manifestazioni, ma anche coloro che con la  cattiva gestione del bene pubblico attentano alla qualità della vita di noi tutti. Mi verrebbe da dire  … prendiamoli a manganellate!, come fanno gli agenti con certi manifestanti, ma soprattutto mandiamoli via, impedendo loro di toccare ancora un solo cent  di bene pubblico.
L’imbarbarimento di questi ultimi anni ci ha portato a tollerare i furbi e i ladri che rubavano dalle nostre tasche. Cambiare la classe politica penso sia fondamentale ma è fondamentale garantirne il ricambio, impedendo che la politica diventi un lavoro quando deve rimanere una missione oltre che un servizio.

martedì 13 novembre 2012

Autunno


Non fa più il freddo di qualche giorno fa. Il termometro della carrozzeria sembra fisso sui 9 gradi. Fa caldo direi, vista la stagione. Siamo già oltre San Martino, un tempo portatore di cieli tersi ma anche di gelate notturne. Quest’anno ne gli uni ne gli altri. Per una volta tanto, solo umido, pioggia e canali colmi d’acqua tanto da trasmettere un sottile senso di angoscia. Da queste parti tutto è piano, quasi tirato a bolla, tanto che sembra impossibile prevedere dove l’acqua, uscendo dai canali, andrebbe a raccogliersi.
"L'acqua fa 'iveo!", si dice qui da noi, ma si ha la sensazione che a far livello si sia lavorato già molto.
A dire il vero, l’acqua in questi giorni non ha badato a spese. Caduta, come poche volte in questa stagione, ha fatto riapparire rivoli quasi invisibili e alzato il livello dei canali in modo preoccupante.
L’umidità entra nelle case e, solo il tepore delle stufe e dei termosifoni riesce ad allontanarla dalle ossa e mitigare quel senso di freddo che si annida sotto le vesti, come quando la febbre preannuncia l’influenza.
Dopo le piogge, un tempo arrivava il freddo, accompagnato dalla nebbia e dalla brina.
La nebbia,già da qualche anno, qui nelle campagne del veneziano sembra aver traslocato. Non è più di casa come un tempo e, quando riappare la si accoglie con quel senso di positivo stupore simile a quando ripassa in paese qualcuno  andato ad abitare lontano. Non nascondo che qualche volta ne sento la mancanza. L’autunno non sembra più lo stesso senza la nebbia e le gelate che imbiancavano i campi al mattino.
E’ vero, con il passare degli anni sono cambiate le stagioni. Loro sono cambiate mentre io sono invecchiato lasciandomi dietro le spalle cose che mai più torneranno, come le gelate mattutine della mia infanzia.
Ogni cosa ha il suo tempo riflettevo in questi giorni, pensando agli affetti, agli amori ai sentimenti di un tempo e a quelli di oggi. Ogni tempo ha il suo amore e ogni amore può trovare un suo tempo senza esserne sminuito e temere confronti di sorta.
Pensavo ai miei cinquanta e più anni e, guardandomi allo specchio era come se li contassi ad uno ad uno, distribuiti tra le rughe del collo, tra i pochi e bianchi capelli, negli occhi talvolta tristi e il corpo non più snello come un tempo. Gli specchi sono impietosi nel far apparire inesorabili i segni della nostra decadenza.
Ma se volgo gli occhi altrove, senza preoccuparmi di come appaio, ma solo di come guardo il mondo, scopro uno spirito diverso, una vitalità che il tempo sembra non avere scalfito.
Così come per gioco mi sono chiesto chi immaginavo ci fosse dietro la sensibilità dello sguardo con cui guardavo l’orizzonte davanti a me.
La risposta non tardò. L’immagine in bianco e nero raffigurante un ragazzino con gli occhi sorridenti, fu la risposta. Quelli sono gli occhi con cui guardo il mondo. Gli occhi di un ragazzo, di un adolescente con tanta forza e tanti sogni. La forza forse oggi si è un po’ affievolita ma sognare è un vizio che non ho ancora perso.

lunedì 12 novembre 2012

La trattativa

Mi avvicinai alla cassa, situata in un angolo alquanto defilato dello stand. Prima di me delle ragazze tedesche stavano comprando una sorta di “copri schiena” per cavalli e, mentre pagavano, l’uomo della cassa cercava di intrattenerle parlando un tedesco alquanto approssimativo. La conversazione, come al solito in questi frangenti riguardava il “da dove venite …. e io ci sono passato quand'ero bambino”.  Tutto terminò con la consegna dello scontrino.

Io, incuriosito da quella discussione, che intuivo per lo più dai gesti e dai toni, stavo a debita distanza, con la cavezza per l’asino in mano. Era la seconda che compravo alla Fiera Cavalli. Questa mi sembrava un po’ più adatta di quella costata cinque euro, comprata mezz'ora prima. In primo luogo costava il doppio, poi aveva un po’ di peluche che trasmetteva la sensazione di soffice che pensavo, non poteva che far bene al naso dell’asinello.

Quando venne il  mo turno pensai bene di imbastire, in tono molto cordiale una sorta di trattativa. Spesso mi diverto a contrattare quando compro, il più delle volte per attaccar discorso piuttosto che puntare a un risparmio effettivo.

Così mosso dal buon umore esordii :
“Buongiorno, avrei questa cavezza da pagare …..”
“Mi sembra che il commesso dicesse …… 10 Euro … trattabili”
L’uomo mi osservò molto divertito. Il tono scherzoso lo aveva messo di buon umore.
“Cosa vuoi si possa trattare su una spesa di 10 euro ?”, mi chiese divertito.
“Uno sconto è sempre possibile !”, rilanciai fiducioso.
“Al massimo ti posso offrire il caffè. Anzi il caffè te lo offrirei volentieri”, continuò sorridendo.
Guardai tra lo stand in cerca della macchietta del caffè. Il luogo era alquanto ingombro di  accessori per cavalli di ogni tipo.
“Probabilmente la macchinetta è nascosta dietro qualche scaffale”, pensai , aguzzando lo sguardo ancora per qualche istante.
Ma l’altro vedendomi intento a guardare chissà dove mi aiutò dicendo :
“Purtroppo la macchinetta non c’è, ma il caffè te lo offro lo stesso!”.
Così dicendo mi porse un euro. Io accettai volentieri.
Ringraziai sorpreso dal gesto e salutato quel signore, raggiunsi i miei figli che attendevano poco più in là.
In fondo avevo ottenuto uno sconto del dieci percento !

domenica 11 novembre 2012

IPOD Playlist

....
E se l'amore che avevo non sa più il mio nome.
E se l'amore che avevo non sa più il mio nome.
Come i treni a vapore come i treni a vapore
di stazione in stazione e di porta in porta
e di pioggia in pioggia
di dolore in dolore
il dolore passerà


I Treni a Vapore  -  Ivano Fossati

Salice piangente

San Martino



San Martino



domenica 4 novembre 2012

Juve - Inter 1 : 3


L'inter stava crescendo mentre le ultime prestazioni della Juve avevano fatto intravvedere un calo di condizione.
Come spesso succede chi rimonta riesce a staccare chi sta davanti. Per lo scudetto la strada è ancora lunga, ma la partenza bruciante della Juve si sta già ridimensionando.

Da qualche giorno pensavo di scommettere 20 euro puntando sul 3 : 1 per l'inter.
Naturalmente non l'ho fatto.

sabato 3 novembre 2012

Andy


Andy se ne andato qualche mese fa. Il suo cuore non gli ha dato una seconda possibilità.
L’ho incrociato per qualche anno per motivi di lavoro. Era uno di quei geni creativi che hanno contribuito alla crescita di internet. Un creativo contro cui spesso mi sono confrontato. Il suo desiderio di vedere realizzata un’idea con poco e in pochissimo tempo non collimava con la mia necessità di farla durare nel tempo. A causa di questa incompatibilità entrambi abbiamo passato de momenti difficili. Lui non riusciva a realizzare in tempo e io non ero in grado di garantirne il funzionamento nel tempo.
All’inizio non mi stava simpatico perché condizionava, con il suo parlare solo inglese, decine di persone a usare una lingua straniera durante le riunioni. Uno vinceva contro al maggioranza, dove ciascuno, mai e poi mai poteva alzare bandiera bianca e dire : “ Scusate io non capisco niente !”.
Quando con il tempo cominciò a comprendere l’italiano, per non essere frainteso, continuò a esporre le sue idee solo in inglese.
Con il tempo i motivi di collaborare si diradarono e quando ci fu l’occasione di incontrarci, si parlava d’altro e ci si capiva di più. Per molto tempo lo hanno dato per partente, ma quando ritornò davvero a Londra non passò a salutare.
La notizia della sua morte piombò improvvisa. Per qualche giorno se ne parlò quando ci si incontrava tra quelli che lo avevano conosciuto.
Stamattina una mail di Facebook, che quotidianamente mi invita a conoscere questo o quello perché amico di uno che conosco, mi chiedeva se per caso conoscessi Andy. Avevamo degli amici in comune, sottolineava la mail, quindi …. potevo stringere amicizia.
Che idiota ‘sto Facebook che si definisce social network ma non distingue chi è vivo da chi non c’è più. Come può qualcosa essere sociale quando non riesce a distinguere e dare dignità alla vita e alla morte ?
Quanti sono i fantasmi che vagano in cerca di amicizia in giro per Internet e quante saranno le richieste di amicizia, inviate da ignari, che mai saranno ricambiate ?
Un tempo l’immortalità era garantita agli artisti e ai grandi uomini. Le loro opere e gesta contribuivano a renderli eterni. Oggi basta essere tra i cinquecento milioni di  iscritti a Facebook per non essere dimenticati e continuare a vagare come anime in cerca di pace, elemosinando, senza più tempo amicizie, restando in silente ascolto come le misteriose anime dei morti che hanno turbato spesso i sonni della nostra infanzia

martedì 30 ottobre 2012

Ogni cosa ha il suo tempo


Ho appeso le scarpe da calcio, già nel secolo scorso, dopo aver rischiato di prenderle da un terzino, una specie di  montagna che mi seguiva dandomi dei pugni di nascosto che, con una furberia avevo fatto espellere dall'arbitro durante una partita di un torneo aziendale.  Giocare a calcio è stata una delle mie passioni più grandi. Segnare un goal procura istanti di felicità assoluta. Ad un certo punto, però,  ho capito che il meglio era passato e non valeva più la pena rischiare qualche infortunio in tackle a cui non ero più abituato.
Qualche anno dopo tentai la strada del calcio a cinque.  Il campo era più piccolo, pensai , così  potevo  meglio mettere a frutto  le mie doti tecniche, visto che qualche acciacco, dovuto all’usura derivante dalla corsa prolungata, aveva pregiudicato la prestanza e la resistenza fisica.
L’impatto fu deflagrante. Giorni e giorni di dolori inspiegabili mi convinsero a lasciare perdere. Non mi pesò abbandonare definitivamente il calcio.
Mi rimangono  i palleggi che, giocando con mio figlio,  faccio ancora con una discreta abilità, un tantino arrugginita ma non fino al punto da farmi sembrare imbranato e goffo. La stoffa c’è ancora, si è sgualcita un po’, ma traspare ancora la qualità di un tempo, come un vestito di ottima fattura ma non più alla moda. Ogni cosa ha il suo tempo.
Da ragazzo divoravo libri. Integravo quelli che mi venivano regalati con quanto potevo trovare in biblioteca. Per certi periodi andavo in sequenza, ad esaurimento di scaffale.  Mi piaceva la fantascienza e le storie di viaggi impossibili. Moby Dick, i libri di Verne e tanti altri mi hanno fatto compagnia durante l’infanzia e l’adolescenza. Durante le scuole superiori, arrivarono  gli incontri con Manzoni, Kafka, Buzzati, Pavese,  Pirandello, molti scrittori del neorealismo italiano  e altri ancora,  stimolati dall’affezione verso una professoressa di italiano che mi indusse  a portare italiano all’esame di diploma in informatica.
Ai libri mi affezionavo e i più belli li tornavo a leggere, sapendo di scoprire sempre angoli passati inosservati.
Poi venne il militare e di li a poco l’addio all’Università. Fu così che abbandonai la lettura. Iniziai a lavorare e sposatomi,  molti pensieri ma anche molte soddisfazioni riempirono il mio tempo. Quegli anni sono stati caratterizzati da un’energia senza uguali, mosso dall’amore verso la mia famiglia e dalla voglia di arrivare a realizzarmi per stare sempre meglio.
 “Ogni cosa ha il suo tempo”, mi dicevo , “tornerò sui libri ne sono certo, ma ora no ho tempo.”
Ma l’arrivare si tramutò in arrivare a tutti i costi, senza curarsi del tempo e delle energie rimaste. Tenere il ritmo elevatissimo risultò sempre più difficile. In maratona si sa, che se si parte a ritmo troppo elevato si rischia di andare fuori giri e scoppiare senza arrivare al traguardo. Anche il mio ritmo di vita risultò in quegli anni insostenibile e, come un incauto maratoneta, scoppiai.
Ne uscii con le ossa rotte e, rabberciata una vita andata in frantumi mi ripromisi : “Ogni cosa ha il suo tempo” , ma quel “ha”, significava ben altro. Le cose importanti,  intendendo  tutto ciò che amavo, avevano bisogno del mio tempo. Tutto andava rimesso in ordine.
Ora sono tornato sui libri, sono tornato a studiare,  leggo, studio passo il tempo tra le parole, lette e scritte.  E’ terapeutico prendere un pensiero e riportarlo sulla carta ordinando  le parole con la stessa cura con cui un pittore cerca le sfumature di un colore.  I significati stanno alle parole come le tonalità stanno ai colori. “Ogni cosa ha il suo tempo”, ma la vita fa scherzi strani giocando con il tempo, spesso mescola tempi e cose con l’estro di un’artista. Può succedere di ritornare a studiare quando pensi di essere arrugginito,  avere un figlio quando ti senti inutile oppure salire le vette più alte quando pensi di avere un cuore malato.

Ho corso sette maratone e, quando nell’ottobre del 1997 tagliai il traguardo con il mio tempo peggiore, mi venne naturale pensare che mi sarei di sicuro rifatto l’anno dopo.  Però si trattava di una bugia, in fondo pensavo che, quella era stata veramente la mia ultima maratona. Troppa era stata la fatica e poche le motivazioni rimaste. Per più di dieci anni non ripresi più seriamente e, solo dopo aver ritrovato l’armonia con il mio cuore, tornai a macinare chilometri. Rimisi però le scarpe da running con lo spirito di chi va in montagna, ma  tiene il passo di chi è meno allenato di lui. Ogni cosa ha il tempo. C’e stato il tempo delle maratone corse in meno di tre ore e quello delle corse fatte per il gusto di esserci ancora ed arrivare sorridendo.
Ora aspetto il tempo e le cose che l’estro della vita vorrà riservarmi ancora. Le motivazioni non mancano come pure i sogni.
Ogni cosa avrà il suo tempo .

mercoledì 17 ottobre 2012

15 Ottobre


Gli esercizi di inglese sono fatti bene. E’ un piacere farli. Sono semplici, ma sono molti. Se li traguardo con lo spessore del libro direi che sono troppi. Non ce la farò per  il prossimo mese a completarli tutti. Ci provo comunque.
Inglese sembra un esame un po’ avulso dal contesto del corso, ma ormai si sa, che senza conoscere l’inglese non si va da nessuna parte. Il mio inglese va e viene. Ci sono momenti in cui la mente riesce a precedere la voce, formando le parole e le frasi in modo comprensibile, mentre altre volte la lingua sembra incollata e la mente sembra dissociarsi, non ne vuole sapere. In questi casi faccio fatica  a parlare, a mettere in fila  anche mezza frase.
Gli esercizi servono a ripassare le regole grammaticali, studiate tanti anni fa. Alcune regole sono ancora ben fissate nella mente e mi risulta facile metterle in pratica, mentre molte altre mi stanno tornando alla mente ora, mentre procedo con le esercitazioni.
Gran parte degli esercizi consistono di frasi incomplete in cui si devono disporre le parole nella giusta forma. Gli spazi da completare sono identificabili da dei puntini a garantire lo spazio necessario.
La risposta è sempre una sola, non c’è possibilità di sbagliare. Spesso in testa alla pagina già ci sono dei suggerimenti.

Lunedì 15 Ottobre alle 8.10 mi arriva un SMS.

Ciao....

A vederlo mi sono tornati alla mente gli esercizi di inglese.  Chissà quale frase e parola mancanti stavano nelle intenzioni del mittente, al momento dell’invio?
Non era facile, come negli esercizi di inglese, completare la frase scegliendo la parola o la frase giusta.
"Meglio non farli certi esercizi.", mi sono detto. 
Fanno male al cuore .

venerdì 12 ottobre 2012

mercoledì 10 ottobre 2012

domenica 30 settembre 2012

Alti e Bassi... Bassi e Alti


L’uomo che era stato negli ultimi tre anni, direttore di funzione ma soprattutto il  mio capo, entrò nel mio ufficio con la solita flemma. Già un paio di volte nell’ultimo mese era entrato per parlarmi di nuove tecnologie e delle sue ultime scoperte. Si comportava con le tecnologie come un bambino quando si innamora dell’ultimo giocattolo visto. Subito le voleva avere e provare. Lui quasi ogni giorno si innamorava di un giocattolo nuovo.
Questa sua volubilità non ci aiutava certo nel nostro lavoro. La strategia, se si poteva chiamare tale, mi sembrava scritta sulla sabbia. Bastava un niente per cancellarla e la nuova proposizione rinnegava spesso quanto scritto in precedenza.
Abbiamo scritto spesso sulla sabbia in questi tre anni …
Sapevo che a fine mese ci avrebbe lasciato e quando lo vidi entrare, mi stavo preparando ad ascoltare notizie sull'ultima tecnologia esplorata.
“Sei il primo che saluto !”, esordì con tono amichevole. E', tra le persone conosciute, una delle poche che riesce a usare un tono amichevole anche quando vuole colpire duro.
Capii che eravamo giunti all'epilogo, niente più innamoramenti e colpi di fulmini.
“E’ oggi, l’ultimo giorno ?”, chiesi  tanto per rispondere qualcosa e proseguire il discorso.
“Non l’ultimo giorno, direi, l’ultima ora", puntualizzò, "Finiti i saluti, consegno la macchina e me ne torno a casa con mia moglie …”, disse preciso, preciso.
“Bene …”, continuai senza trasporto.
Avevo pensato più volte a quel momento. Mi ero riproposto di trasformarlo in uno sfogo o un atto di accusa, dicendo finalmente tutto ciò che pensavo di tre anni di direzione ballerina. Alla fine avevo però deciso di lasciar perdere, bastava che se ne andasse. Bastava e avanzava.
“Sono stati tre anni di lavoro proficuo …..” rilanciò lui, quando io invece pensavo si passasse direttamente ai saluti e alla stretta di mano finale.
“Con alti e bassi, come in tutte le cose”, precisò rispolverando un tono vagamente direttivo.
La frase, però, mi svegliò dall'indifferenza che mi ero imposto, come se dovessi prendere una medicina cattiva ma imprescindibile.
Poi con una certa benevolenza, malamente mascherata, continuò :
“Ma i bassi devono essere stati talmente pochi, che nemmeno me li ricordo”
Risvegliai immediatamente la memoria alla ricerca degli alti e dei bassi a cui sui riferiva.
Non risposi, non avevo parole con cui controbattere. Mi ritornarono alla mente le frasi preparate per lo sfogo, le ricacciai indietro per evitare tentazioni.
C’era qualcosa che non mi spiegavo, perché, differentemente da quanto lui mi stava dicendo, io avevo in mente molti momenti bassi e gli alti dovevano essere stati talmente pochi che nemmeno li ricordavo.
“Spero che questi tre anni abbiano insegnato qualcosa ad entrambi”, riuscii solo a dire, con tono che voleva essere vagamente di commiato.
Ci furono dei momenti di imbarazzo. Ascoltando l’istinto avrei voluto mandarlo al diavolo, ma in aiuto mi sovvenne la sua domanda successiva.
“Coma va la salute ?”
“Bene, Grazie … Il mio cuore sta bene”, risposi lesto, come avessi la risposta già pronta per l’uso.
Se e andò dopo la stretta di mano di rito e la promessa che si saremmo comunque tenuti in contatto.
Risposi con un “Buona Fortuna !”, di cuore.

Funziona !

Ogni tanto arrivano buone notizie....

Da la Repubblica.it del 30 Settembre 2012.

Olanda, giocatore colpito da infarto salvato dal suo defibrillatore interno

sabato 15 settembre 2012

Dedicato a ......

I muri non servono per fermare chi desidera davvero qualcosa.
Servono per fermare quelli che non ci credono abbastanza


"Copertina di uno dei tanti libri in vendita in Autogrill"

giovedì 30 agosto 2012

Matrici di Compatibilità


Le chiamano matrici di compatibilità. In Informatica è un modo molto schematico e preciso per descrivere le affinità tra software e hardware definendo, la loro capacità di integrarsi e di convivere al fine di costituire un sistema funzionante. Ma i sistemi informatici moderni sono oramai composti da molte (forse troppe) componenti hardware e numerosi software, senza contare le implicazioni dovute alla connettività, alla rete e perché no, alla sicurezza. Insomma oggi un sistema informatico è da considerarsi una specie di puzzle dove spesso, una e una sola è la combinazione che funziona.
Quindi parlare di matrici può sembrare alquanto semplicistico o perlomeno fuorviante. La realtà è spesso più cruda. E’ normale dover  verificare dipendenze tra più matrici, dove per trovare la soluzione ci si deve addentrare tra percorsi molto simili a quelli di un grande un labirinto.
L'esperienza insegna, ben presto, che le scelte, sia hardware che software, non possono essere prese a cuor leggero.
Spesso queste matrici, che oserei chiamare Cubi di Rubik, pur nella loro completezza e precisione, non sono esenti da incognite, tanto da imporre compromessi alcune volte frustranti per chi, in fase di progetto sognava voli pindarici attraverso nuove tecnologie e performance mai viste.
Come orientarci nel labirinto e difenderci da simili frustrazioni informatiche ?
Basta applicare la stessa regola che si usa quando, andando per sentieri in montagna, si diffida dei sentieri poco battuti, preferendo quelli levigati e senza erbacce, ma soprattutto, ben segnati.
L’informatica è una sorta di montagna dove ci sono sia sentieri battuti che tracce appena segnate. Quest’ultime sono di solito percorse da temerari, spesso amanti del rischio e dell’inesplorato. Talvolta l'ignoto è sinonimo di innovazione e futuro, ma quasi mai si coniuga con stabilità e affidabilità.
Per chi invece preferisce l’affidabilità e la sicurezza non rimane che scegliere le strade battute, levigate dai molti già  passati in precedenza. Sono loro che hanno sperimentato sulla loro pelle, gli intoppi e i contrattempi caratteristici di tutto ciò che è nuovo sia nel software che nell’hardware.
Sono le frustrazioni di altri che hanno messo a punto e collaudato le matrici di compatibilità, rendendo il puzzle più semplice per tutti coloro che con saggezza o opportunismo,  hanno preferito passare dopo, rinunciando all'onere e all’onore di battere strade inesplorate.
Ma ogni scelta va fatta con saggezza e buon senso. Questo non significa avere sempre un approccio conservativo, scegliendo le soluzioni più affidabili. Spesso "buon senso" può essere anche sinonimo di coraggio e capacità di rischiare.
Si  scopre così, che quando si ritrova il coraggio e si impara a rischiare alla fine ci si diverte di più.

mercoledì 29 agosto 2012

IPOD Playlist


...
She'll lead you down a path
There'll be tenderness in the air
She'll let you come just far enough
So you know she's really there
She'll look at you and smile
And her eyes will say
She's got a secret garden
Where everything you want
Where everything you need
Will always stay
A million miles away


Secret Garden - Bruce Springsteen


lunedì 27 agosto 2012

Note


Le ferie sono terminate in coincidenza con il primo temporale di Agosto. Lungo il viaggio verso casa, sempre più coperto da nubi minacciose,  la temperatura è scesa repentinamente di più di 15 gradi. Sono giunto a casa poco dopo il passaggio del nubifragio. Davanti alla porta di casa il vento aveva accumulato una grande quantità di foglie secche, come se qualcuno volesse sottolineare che le ferie erano veramente finite. Un po’ per passare il tempo e un po’ per scacciare la malinconia, presa la ramazza, ho fatto piazza pulita di quell’avvisaglia di autunno.

Uno dei ricordi più singolari del mare di quest’anno, una sorta di foto non fatta, è stata l’immagine di due persone anziane, presumo marito e moglie che, abbracciati, andavano lenti verso il mare. Si era verso sera, e i raggi del sole non avevano più la stessa forza delle ore più calde. Guardandoli ho provato molta tenerezza e un pizzico di invidia.

Ero partito per il mare munito di computer, Tablet , cellulari, fiducioso di essere sempre connesso a Internet.  Mi sono trovato invece, quasi sempre sconnesso e spesso, nell'impossibilità di fare anche una banale telefonata.  I pochi accessi a Internet sono stati ottenuti grazie a lunghe e interminabili attese davanti al Pc, diventato improvvisamente lento e inutilizzabile.  Non tutto il male viene per nuocere e dopo un po’ ho scoperto, ma le cose le capisco quasi sempre per urto frontale, che dopo tutto non stavo poi così male, anzi ….

Da oggi si ritorna alle vecchie abitudini. Il PC al lavoro è ripartito senza fiatare. La posta ci ha messo un po’ ad arrivare, ma alla fine non c’era niente di preoccupante. I promemoria lasciati sul tavolo, sintetici, che solo un mese fa sembravano chiarissimi, mi sono apparsi alquanto enigmatici. In compenso mi sono ricordato tutte le password di accesso. 

mercoledì 22 agosto 2012

Dialogo



“Papà, dov’è la macchinetta per il cuore ?”
Eravamo in  silenzio da qualche minuto, finito il pranzo c’era ogni giorno una sorta di tacita tregua: ciascuno si faceva i fatti propri.
Ma quella domanda uscita dai pensieri di mio figlio riannodò il silenzio. Alzai la testa e fissandolo, pensai a quale poteva essere la risposta più appropriata. Presi tempo, ma decisi per la via più diretta.
“E’ qui, vicino alla spalla”, risposi, indicando con il dito sotto la clavicola sinistra.
“Se appoggi la mano la puoi sentire“.
Il piccolo si avvicinò, appoggiò la mano senza premere.
“Non c’è niente!”, esclamò.
“Si che c’è”, spiegai, chiedendomi come mai non avesse percepito qualcosa che per me era, invece, molto ingombrante.
“Puoi sentire anche i fili che vanno diretti al cuore”, continuai completando la descrizione.
Mio figlio appoggiò la mano con più convinzione, e solo allora individuò la macchinetta e fili che gli avevo appena descritto.
“A cosa servono i fili ?”, chiese con aumentata curiosità.
 “ A far ripartire il cuore nel caso si fermasse!”.
Pensavo l’argomento concluso, ma, qualche istante dopo :
“E come fanno a farlo ripartire”, riprese mio figlio.
“La macchinetta manda, attraverso i fili, una scossa al cuore”, risposi.
“E la scossa si sente ?”, domandò quasi preoccupato.
“Chi l’ha provato dice che si sente”, raccontai riportando quando avevo sentito.
Nuovamente pensai conclusa la discussione, ero convinto di  avere dato la migliore delle spiegazioni.
Mio figlio sembrava pensare ad altro. Aveva abbassato lo sguardo quasi fosse stato attratto da qualcos’altro. Armeggiava con le mani sulla sabbia.
Ma alzati gli occhi disse convinto :
“Ma allora tu non muori mai !”
Avevo capito il suo silenzio e i suoi pensieri. Lasciai passare un secondo e più,  poi conclusi.
“Un giorno, nessuno sa quando,  il mio cuore si fermerà e la macchinetta non sarà capace di farlo ripartire.”

Piazzola 127

lunedì 20 agosto 2012

Piazzola 127


“Guardi, sono disposto a pagare per farla partecipare al gioco …!”, disse uno degli animatori che stava reclutando dei volontari per un quiz musicale.
“Cosa vuole …. Le posso dare delle macchine, ma non può dire di no!” , continuò con aria canzonatoria sicuro di convincermi.
“Da papà vai anche tu!”, disse mio figlio felice di vedermi sul palco. Solo qualche giorno prima mi avrebbe trattenuto, come se si vergognasse di me.
“Va bene”, dissi accettando, convinto dall’incitamento di mio figlio.
Andai così ad occupare una sedia delle dieci che erano state preparate. Il palco era in penombra, come quasi al buio mi apparivano le centinaia di persone che stavano di fronte a me.
La situazione poco chiara mi rassicurò.
Pensai :
“Non ho proprio il vestito migliore e, qua in penombra, probabilmente pochi mi noteranno”.
Nel frattempo ogni tanto, davo un’occhiata al piccolo, che stava seduto poco più in là. 
Reclutati tutti i dieci “volontari”, apparve una sorta d presentatore che, in inglese, tedesco e Italiano diede inizio al gioco. Si trattava di indovinare delle famose canzoni internazionali.
Internazionale era il parterre dei concorrenti : austriaci , tedeschi, italiani  e olandesi e dopo una veloce valutazione, mi convinsi che ero di sicuro il meno giovane.
L’inizio del gioco coincise, purtroppo, con l’accensione delle luci del palco. Una luce forte e calda mi colpi come un pugno nello stomaco. Ne rimasi abbagliato. Mi ritornò alla mente il mio abbigliamento un po’ andante ma, accecato da quelle luci, non avevo la sensazione che qualcuno potesse vedermi.
Iniziò la chermesse e, dopo le prime dieci canzoni, ero ancora a zero punti. Tra le canzoni passate, avevo comunque riconosciuto alcuni brani ma, un po’ l’ignoranza e un po’ l’emozione, non mi avevano aiutato a ricordare il titolo.
L’inglese poi era diventato, d’improvviso, una lingua sconosciuta. Non riuscivo a spiaccicare una parola ne a comprendere ciò che veniva detto.
Pian piano però quell’immotivata agitazione di dileguò e cominciai a sentirmi a mio agio.
Decisi di fare una falsa partenza, sicuro di arrivare secondo, per rompere il ghiaccio. Mi buttati su una canzone degli Abba, sbagliandola clamorosamente ma individuai alle prima note  Crocodile Rock di Elton John, Yesterday al primo accordo e l’unica canzone di Cat Stevens che conosco : Father and Son.
In compenso ho confuso Obladì Obladà con Yellow Submarine, dopo una partenza da siluro.
Al termine del gioco ho sfiorato, comunque, l’ammissione in finale, facendo una discreta figura. Naturalmente per mio figlio dovevo vincere.
Alla fine l’ho convinto, lui sempre timido, a salire sul palco con me a ballare la sigla di chiusura e questo è stato il risultato più bello.
Certe cose si fanno solo in vacanza … chissà perché !

domenica 12 agosto 2012

Piazzola 127


L’accesso a internet segue regole a me sconosciute. Il fatto che tutto sembri appeso a non so che fenomeno o rito rende tutto poco tecnologico e deterministico. Non capisco perché ora si acceda a una velocità accettabile mente solo pochi minuti fa tutto era terribilmente lento.
Non sono questi i problemi, ma solo curiosità “professionali”, che mi stuzzicano un po’, ma appena internet diventa decente, mi comporto come chi, pensando di avere la macchina guasta, la sente ripartire di li a poco senza aver toccato nulla. “Finché dura!”, mi viene da dire, sapendo che, come a una roulette russa rovesciata, ho un solo colpo buono a mia disposizione. Per il resto del tempo è buio pesto.
L’accampamento si sta sviluppando. Alla roulotte si è aggiunta una tenda, tutto ben disposto all’interno della piazzola, sfruttando al meglio spazi e confini.  Siamo in due, tra non molto saremo forse in tre, ma disponiamo di ben 7 posti letto. A volte mi considero come quei signori dotati di enormi residenze, con decine di stanze dove ogni sera hanno l’imbarazzo della scelta in quale andare a dormire. Diciamo che un po’ assomiglio loro per il fatto di avere l’imbarazzo della scelta.  Insomma la fantasia fa star bene e i sogni costano niente.
La spiaggia è adiacente al Campeggio. La considero come fosse dietro casa, vista la disposizione della roulotte. Fino ad oggi non ho ancora sentito il mare “ne urlare ne biancheggiare”, come diceva il Carducci, ma il vento teso di ieri sera mi è servito a imparare a governare uno  di quegli aquiloni che si guidano con due fili.  Pensavo che mai ci sarei riuscito e che quanto speso alla festa degli aquiloni di Cervia, non fossero stati altro che soldi buttati al vento. Con molta sorpresa ho imparato in fretta e il gioco non è niente male. In certi momenti la vela sembra volermi sollevare e per qualche istante si prova una strana sensazione di leggerezza, simile a quella di un abitante della Luna.
La spiaggia ieri sera era completamente deserta, mentre per tutta la giornata centinaia di ombrelloni la avevano resa disordinatamente multicolore, come fosse stata dipinta da un pittore al meglio dell’estro. E’ questa una peculiarità delle spiagge libere, zone in cui chiunque può occupare un proprio spazio con ombrellone e sedie a sdraio proprie. C’è chi arriva munito di sole borse e altri invece che, su carrelli di varia dimensione portano lettini, ombrelloni e viveri, quasi fosse un trasloco ogni giorno. Verso sera tutto si svuota, un po’ prima dell’ora di cena la spiaggia ritorna deserta. E’ in quel momento che si può apprezzare il secondo significato di “Spiaggia Libera”, vedendo quel vuoto ordinato e la sabbia completamente sgombra. Restano il mare, la sabbia , il vento, i gabbiani e qualcuno che cammina sulla battigia. La luce del tramonto rende il momento magico.
Camping dei Fiori – Cavallino . Agosto 2012

giovedì 9 agosto 2012

Piazzola 127


La piazzola 128 , quella dell’anno scorso, sta qui a fianco. L’anno scorso stavamo proprio la , organizzati in un disordine sotto controllo. Questa sera sono stanco. Io e mio figlio, abbiamo rimesso in moto l’accampamento allo stesso modo, con poche modifiche: tavolo nuovo e poco più. La roulotte è arrivata per contro proprio. Il rendezvous è avvenuto dopo un anno, verso le sedici. Tutto era in ordine, come un’astronave che per molto tempo avesse viaggiato senza equipaggio. In  breve tempo sia la dispensa che l’armadio ha si sono riempiti di viveri e di indumenti. Il frigo e il fornello anche se con qualche tentennio si sono rimessi a funzionare.
Stasera sono stanco e un po’ mi chiedo perché sono ancora qua, così diverso dall’anno scorso. Non cerco risposte immediate. Già da domani rimetterò in ordine il tempo e gli spazi e non sarà difficile organizzare il far niente. Mio figlio è invece molto più concreto, mi ha aiutato con profitto, non solo nell’operatività ma anche nella ricerca delle soluzioni. Bene anche lui è cambiato e ha molto più entusiasmo di me. 
Alcune incomprensioni mi hanno dato modo di definire un po’ di “regole” di buona convivenza.
Quasi quasi me le segno così da non dover gridare la prossima volta.
Dovremo entrambi trovare, inoltre, spazio per lo studio, ma, mentre io vedrò di incastrarlo nei momenti di pausa, mio figlio ha altre idee in merito. Oggi è stato molto esplicito come al solito: di leggere o fare i compiti non se ne parla. La serata è finalmente silenziosa. Un grillo nonostante l’affollamento trova il coraggio per fare il suo verso. Il campeggio rimane illuminato quasi un accampamento di qualche secolo fa. Le poche luci sembrano sostituire le torce di un tempo. Il buia la fa da padrone. Voci si levano dall’oscurità, si avvicinano, a volte materializzandosi in ombre frettolose, altre volte passano invisibili, scomparendo nel buio, come quei meteoriti che sfiorano la terra senza colpirla.
Ora, penso , potei fare mille cose ancora. Potrei continuare a scrivere o aprire uno dei tanti libri che mi sono portato appresso. Il silenzio mi ha rasserenato. Mio figlio si è addormentato dopo qualche salto sul letto. Me lo aveva chiesto come ultimo desiderio prima di addormentarsi. “Va bene “, ho risposto, sicuro che, in ogni caso, i salti non sarebbero durati per molto.
I grilli si stanno moltiplicando. Finito lo spettacolo dell’orchestra degli uomini, il loro frinire ha occupato la ribalta del palcoscenico. L’approccio è molto più misurato, rispettoso, di certo molto più magico.

martedì 7 agosto 2012

Alex


Si contano sulle dita di una mano gli atleti, scoperti dopati dai controlli antidoping, capaci di ammettere in pubblico il proprio errore e la loro debolezza.
In questi ultimi anni, le commissioni giudicanti, hanno accettato le più squallide giustificazioni che raccontavano talvolta di complotti e altre volte di caramelle accettate incautamente da sconosciuti.
Molti atleti, appartenenti spesso agli sporti cosidetti "potenti", l'hanno fatta franca, scontando pene estremamente lievi.
Il doping è una pratica infame, ma il non tener conto dell’ammissione di colpa di Alex sia, per certi versi, altrettanto infame. Pensando al gesto, mi è sembrato di vedere un ladro che, dopo un furto, lascia il suo biglietto da visita, nel desiderio di essere smascherato e curato per quel vizio tanto deprecabile.
Alex non ne poteva più di marciare, già da tempo. Nessuno lo ha aiutato a smettere e, forse inconsciamente, lui ha trovato il modo per uscire definitivamente di scena.
Alex non va dimenticato, anzi andrà aiutato e affiancato da persone vere e sincere. Non abbiamo bisogno di  altre storie tristi, simili a quella di Marco Pantani.
Con pazienza e dopo una giusta pena, potrà nuovamente riassaporare, se vorrà, la voglia di ritornare a marciare a 4' e 20" al km.

Curiosity


C’è un che di organico nella modalità in cui si è svolta la missione di Curiosity. Mi ricorda il primo viaggio di un bambino a cui i genitori hanno impartito tutte le  istruzioni necessarie a raggiungere per bene la destinazione, sapendo di non poterlo accompagnare nell’ultimo tratto.
Anche questa complessa astronave può essere considerato una sorta di figlio dell’uomo. Un figlio della scienza e della sete di conoscenza, appartenente ad una nuova generazione di macchine “pensanti” capaci di mettere a frutto, magari ampliandole, le conoscenze, l’imprinting trasmesso dall’uomo.
Controllarne remotamente, da Terra la discesa, era precluso dalle leggi della fisica. Servivano minuti per poter trasmettere un singolo comando, mentre durante la discesa sono stati centinaia al secondo le decisioni da prendere per poter stabilizzare in continuazione il sistema, centrando con precisione il cratere  Gale.
Quanto bastava a compiere questa serie di complesse operazioni, era tra le conoscenze già  a bordo e, durante l’avvicinamento, gli occhi di “Curiosity” si sono continuamente misurati con lo spazio circostante, valutando la velocità  e la posizione dell’astronave.
La fase di atterraggio non è stata governata da una sequenza temporizzata di comandi. La capacità autonoma di apprendere e misurarsi con l’ambiente esterno ha permesso all’astronave di correggere in continuazione tutti i parametri di volo, attivando al momento più giusto le operazione fondamentali.
Chissà cosa direbbe Alan Turing, uno dei padri dell'informatica e ideatore del Test di Turing, nell’ammirare un comportamento tanto intelligente di una macchina. Chissà se un uomo  avrebbe fatto meglio ?
Con questa missione si è aperta una fase nuova dei viaggi e dell’esplorazione spaziale. Volendo si può identificare nel Pathfinder, piccolo robot esploratore di Marte, il precursore di questa nuova generazione di macchine. Si tratta di sistemi autonomi e capaci di  padroneggiare gran parte delle funzionalità di base, rispondendo a richieste provenienti dalla terra molto simili a degli obiettivi di progetto.
Nei prossimi decenni compariranno sistemi molto più capaci dell’uomo sia di esplorare l’immensamente grande quanto di avventurarsi nell’estremamente piccolo con il compito di curare e correggere potenziali cause di malattie.

lunedì 30 luglio 2012

Obiettivi


L’Olimpiade è un palcoscenico unico per gli sport minori, di norma bistrattati e dimenticati dai circuiti mediatici del profitto ma anche l’occasioni per scoprire storie e personaggi certamente non comuni.
Nei primi due giorni mi ha molto impressionato come si è sviluppata la competizione a squadre del tiro con l’arco.  Italia e Stati Uniti si sono contesi alla fine la medaglia olimpica.
Si potrebbe discutere sulle apparenze, quali i chili di troppo della squadra italiana messi a confronto con i fisici perfetti degli americani. Di certo in uno sport dove il rilascio dell’arco debba tener conto dell’impercettibile spostamento indotto dal battito cardiaco, una massa maggiore forse garantisce una maggiore stabilità.  Non è facile mirare un bersaglio di 12 cm posto a 70 metri.
L’Italia, che aveva condotto con un discreto margine l’intera gara, si è trovata raggiunta nell’ultima sessione di tiri.
Giunti all’ultima freccia, la situazione era la seguente :
Stati Uniti : 218
Italia          : 109
L’ultimo tiratore Italiano, per portare a casa la vittoria, doveva fare il massimo del punteggio. 
Si trattava di una situazione di stress unica, nemmeno paragonabile alla tensione che può prendere chi, nel calcio, si trovi a tirare l’ultimo rigore decisivo, alla finale del campionato mondiale. In quel frangente si può decidere di tirare di precisione o affidarsi alla potenza, quasi chiudendo gli occhi.
Ma centrare un piccolo bersaglio a 70 metri non ammette opzioni di sorta.  Si deve avere la capacità di isolarsi, concentrarsi sull’obiettivo e controllare le emozioni. Anche il minimo tremolio può portare a risultati catastrofici. Il cuore tutto può fare, meno che accelerare i battiti.
Insomma una situazione non  comune, per persone non comuni.
Alla fine l’ultimo arciere italiano è riuscito nell’impresa.  Controllando l’enorme pressione emotiva, ha centrato l’unico risultato possibile, quel  il 10 che ha garantito la medaglia olimpica.
Mi piacerebbe conoscere come è riuscito a concentrarsi  in quei momenti determinanti senza farsi travolgere dall’emozione. Sarebbe un’utile lezione.

domenica 22 luglio 2012

Parametri Macchina


Pressione Massima  103
Pressione Minima      66
Frequenza cardiaca    48

Non controllo regolarmente la pressione come un tempo. Il mio ritmo di vita non è cambiato. La mia dieta nemmeno, limitata dalla mia poca propensione a cucinare. Tra le varie “cure di se”, forse la cucina è quella a cui tengo meno. Passo attraverso, forse è meglio dire corro, pranzi preparati  in modo veloce, spesso uguali, dettati più dall’esigenza “ di sopravvivere” che da quella del piacere di stare a tavola.
In questi anni mi sono ricreduto in  molte cose. Il mondo che pensavo “o bianco o nero” sta assumendo una varietà di colori e sfumature impensabili solo qualche mese fa. Cose che detestavo ora mi appassionano e cerco di evitare “esecuzioni sommarie” con giudizi affrettati.
Quindi penso di avere ancora tempo e possibilità per imparare a  cucinare e a fare cose che oggi non considero importanti. Procedendo un passo alla volta senza forzare si va molto lontano. La voglia non manca e a volte basta solo saper cogliere il momento giusto.
I parametri macchina, pigri, di stamattina, mi hanno messo di buon umore. Il cuore non si sta affannando e il suo lento pulsare è indice di tranquillità, nonostante le poche ore di sonno.  Gli ultimi controlli hanno dato tutti esito positivo e le date delle nuove verifiche sono quasi tutte previste per l’anno a venire. Quasi come una persona normale.
Solo per l’ICD, nonostante i collegamenti settimanali, è previsto il “tagliando “ annuale ad ogni settembre. In quanto macchina autonoma ha i propri ritmi di manutenzione avulsi dai miei ritmi biologici. Ha un ciclo di vita (Lifecicle) diverso, prendendo a prestito termini da altre discipline.
Le visite cardiologiche, gli ECG, le ecografie sono solo gli esami universitari. Verificano se puoi andare avanti senza problemi. L’importante è aver imparato, è aver studiato. Quindi come è importante studiare con regolarità e altrettanto importante vivere con altrettanta regolarità, senza strappi e la voglia di un tempo di dimostrare di non essere cambiato, nonostante la malattia. Sono cambiato e la malattia è stata di sicuro il cambiamento più meccanico. Impresa più difficile è stata prenderne coscienza, assieme agli altri cambiamenti della mia vita. Ho imparato a affrontare gli scossoni che la vita impone, accettandoli senza troppi se o ma, cercando di adeguarmi in fretta come fanno gli ammortizzatori dell’auto con una strada connessa.
Però la strada rimane sconnessa, per certi tratti quasi intransitabile, devo dire la verità. Per il mondo che mi circonda i momenti di tranquillità non sono molti. I passi di cui parlavo prima, sovente, devono accorciarsi di molto per permettere di procedere. Ora si va di nuovo piano, sperando di arrivare in fretta alla sommità della forcella per intraprendere la discesa.

domenica 15 luglio 2012

La scintilla


La porta finestra che guarda a tramontana è lasciata aperta di proposito. Entra un’aria fresca, quasi fuori stagione.  La coperta ci sta bene e trasmette un senso di tepore e protezione quasi materno. Qui il temporale, arrivato d’improvviso  verso le cinque, è durato meno di 10 minuti. In quel breve lasso di tempo si sono visti vento, grandine e pioggia. Terminata la sfuriata, il calore del marciapiede di fronte a casa, in pochi minuti, aveva fatto evaporare quel po’ di pioggia caduta quasi fosse di passaggio.
Ma il fresco  stasera è arrivato per conto proprio. Mio padre diceva in occasioni simili :
“In montagna deve aver fatto maltempo “, sentendo l’aria fresca, quasi montanara.
Ho passato la serata con il desiderio di mettere ordine. Ordine alla casa  ma anche ordine dentro. Il silenzio ci sta tutto anche se diversamente da altre volte mi circonda un velo di nostalgia. Mio figlio stasera mi ha salutato, tornando a casa dopo un po’ di giorni passati assieme. Il saluto, a cui in parte sono abituato, mi sembra ancora qualcosa di innaturale.
Come in altre occasioni, senza scrollare le spalle, mi affido al tempo, al lento cambiare delle cose e dell’animo.  Pur confidando nel continuo evolversi della vita sono convinto che solo le scintille improvvise, le passioni intense, possano far cambiare veramente la vita.
Accompagnare  lentamente lo scorrere lento del tempo serve solo a guarire dai dolori della vita.
Oggi una persona rimasta da poco sola, mi parlava di quanto la sera la avvicini alla solitudine. L’ho rincuorata dicendole che anche alla solitudine ci si abitua. Può diventare l’occasione e lo stimolo per reinventarsi, senza  ricominciare,  la semplice possibilità di guardare avanti.  Pensavo alla sua storia e mi chiedevo se avesse qualche rimpianto, pensando a quanto avrebbe potuto fare per ritardare la solitudine e le serate diventate improvvisamente fredde e  silenziose.
Ho rimesso ordine alle tante cose fatte in questi giorni. Ho ripensato ai sentimenti , alle emozioni intense, ai sospiri di sollievo  dopo una grande paura, alle motivazioni rinnovate, alle amicizie vere, finendo per rimettere un po’ di ordine anche alle spese fatte senza verificare la salute del conto in banca.
I soldi, mi dico da un po’, non sono un problema, se servono a star bene e a far star bene.  Per il momento non chiedo di più.
Ogni tanto, la domenica sera, osservo quel modem che sta sul comodino che appena dopo la mezzanotte a mia insaputa recupererà quanto registrato dall’ICD durante l’ultima settimana. E’ come se ogni Domenica notte annotassi su un diario quanti fatto negli ultimi sette giorni. A pensarci bene non tutti hanno questo privilegio e chissà se un giorno potrò curiosarci dentro.
Il travaso dei dati è talmente preciso e puntuale da essermi diventato indifferente.
La porta aperta continua a far passare un fresco sempre più frizzante.  Verso le undici di sera immancabilmente si attiva l’irrigazione del giardino vicino. Dura un’ora, appena dopo mezzanotte, termina e restituisce il silenzio. Da lontano arriva la musica  di una Band che suona in una delle tante feste dedicate a ortaggi, birra, estate e altro ancora. Non ne distinguo il genere. I suoni arrivano ovattati e cupi, non mi incuriosiscono.
Tra qualche minuto chiuderò fuori il fresco e tutti i rumori di una notte d’estate senza scintille.
C’è ancora tempo e forse tra poco squilla il telefono o arriva un messaggio….